Non abbiamo ancora studi conclusivi sulla sua efficacia e sicurezza nel trattamento di Covid-19, ma nell’esperienza clinica ha mostrato attività antivirale e antinfiammatori
Silvio Garattini, farmacologo e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha sintetizzato così: «Su alcuni farmaci testati contro Covid, in primis l’idrossiclorochina, ormai regna la confusione, dettata certamente dall’emergenza: prevalgono i pareri personali e gli studi fatti in fretta e furia. Invece bisognerebbe avere la pazienza di studiare che cosa effettivamente fa questo medicinale, con dei metodi il più possibile veloci, ma senza rinunciare a un minimo di rigore scientifico». La storia è nota: nei giorni scorsi l’Oms ha deciso di interrompere la sperimentazione sull’idrossiclorochina sulla base di uno studio pubblicato sulla rivista Lancet. Nel lavoro, basato sui dati di «1.500 pazienti in 1.200 ospedali», si affermava che il farmaco è associato a una mortalità più alta, tra i malati di Covid, e a un aumento di problemi cardiovascolari.
La protesta degli scienziati
Un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian ha messo però in discussione sia la metodologia nonché l’integrità dei dati raccolti da una piccola azienda con base a Chicago, la Surgisphere. Uno scossone che ha portato l’Oms a fare marcia indietro, riattivando gli studi sull’idrossiclorochina, con tante scuse. Una decisione dovuta anche alla protesta di 120 scienziati di tutto il mondo che hanno firmato un appello contestando lo studio pubblicato su Lancet. La stessa rivista ha ritirato lo studio e 3 dei 4 autori firmatari lo hanno ritrattato (il quarto è l’amministratore delegato della Surgisphere, Sapan Desai). Un altro articolo basato su dati della Surgisphere, pubblicato sul New England Journal of Medicine, riguardava l’impiego di comuni medicinali antipertensivi nei pazienti con infezione da Sars-CoV-2: anche questo è stato ritrattato su richiesta degli autori.
Gli studi in corso in Italia
Proviamo a fare il punto su ciò che sappiamo oggi di questo farmaco (molto amato da Donald Trump), un antimalarico scoperto negli anni ‘20 e utilizzato oggi per il trattamento di alcune malattie autoimmuni, in particolare artrite reumatoide e lupus eritematoso. «È una molecola che conosciamo bene, consolidata per efficacia e sicurezza — sottolinea Annalisa Capuano, docente all’Università della Campania «L. Vanvitelli», oggi “riposizionata” su Covid per le sue attività antivirali e immunomodulanti a carattere antinfiammatorio. In Italia sono in corso 7 studi clinici sull’idrossiclorochina, approvati dall’Agenzia italiana del farmaco: 4 ne studiano l’efficacia in pazienti con Covid e gli altri 3 verificano l’eventuale azione di profilassi, ovvero di prevenzione dello sviluppo dell’infezione, dopo il contatto con il virus Sars-CoV-2. Non abbiamo però ad oggi risultati conclusivi di tali sperimentazioni: alcuni sono attesi nel nostro Paese per settembre-ottobre. Recentemente è stato pubblicato uno studio clinico controllato sul New England Journal of Medicine secondo cui il medicinale non sembra essere efficace nella profilassi post-esposizione». Su 821 volontari, esposti a distanza ravvicinata a soggetti positivi, è stata misurata l’incidenza della malattia in caso di somministrazione preventiva di idrossiclorochina o di placebo: la differenza fra i due gruppi non è significativa.
Duplice attività antivirale
Dobbiamo quindi rinunciare a considerarlo un farmaco che può proteggerci dalle forme gravi di Covid? «In realtà l’esperienza clinica, che dovrà essere confermata con i risultati degli studi in corso, suggerisce una duplice attività antivirale, preventiva (impedirebbe la fusione tra il nuovo coronavirus e le cellule umane) e in trattamento (inibisce probabilmente la replicazione virale) — chiarisce Annalisa Capuano —. L’osservazione era già stata fatta durante l’epidemia di Sars, nel 2003: alcuni medici italiani, basandosi sulla somiglianza tra i due virus, hanno voluto testare la molecola anche in questa nuova epidemia. A livello esperienziale, in assenza quindi di dati scientifici conclusivi, il farmaco può aver contrastato l’evoluzione in forme gravi di Covid in un discreto numero di pazienti. Per questo motivo è senz’altro corretto proseguire con le sperimentazioni, in assenza —ad oggi — di un farmaco specifico diretto contro Sars-CoV-2».
I rischi per il cuore
Che cosa è successo in Italia? «L’Agenzia del farmaco ha autorizzato l’uso “off label” di idrossiclorochina nei pazienti Covid, anche domiciliati, permettendone la prescrizione anche da parte dei medici di famiglia —. Nei giorni scorsi, però, dopo lo stop da parte dell’Oms, Aifa ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo “off label” del farmaco al di fuori degli studi clinici attivi nel nostro Paese e pertanto anche la rimborsabilità dello stesso. Va detto che, a fronte della sua efficacia consolidata in campo reumatologico, l’idrossiclorochina presenta rischi di effetti indesiderati, in particolare a carico dell’apparato cardiovascolare. Nei pazienti possono verificarsi un allungamento dell’intervallo QT e di conseguenza la comparsa di aritmie, potenzialmente gravi. È necessario un controllo costante dei soggetti e questo è stato probabilmente un fattore importante — insieme alla presa di posizione dell’Oms, poi ritirata — nella decisione dell’Aifa di sospenderne l’uso in “off label”. Si è ritenuto che, mentre un paziente incluso in una sperimentazione può essere monitorato in modo costante soprattutto per quanto attiene alla tossicità cardiovascolare, la gestione (in termini di monitoraggio) del soggetto domiciliato al di fuori di un contesto sperimentale può essere più complicata».
Ben tollerato anche dai malati di tumore
Nelle prime fasi dell’epidemia di Covid l’uso “off label” di idrossiclorochina è stato consentito, «sulla base dei dati preliminari disponibili, unicamente nell’ambito del piano di gestione dell’emergenza» ha ricordato in una nota l’Agenzia Italiana del Farmaco. Si tratta di un analogo della clorochina chimicamente molto simile e che ne condivide il meccanismo d’azione. È un antimalarico attualmente utilizzato nel nostro Paese in campo reumatologico anche per periodi molto prolungati; esiste quindi ampia esperienza clinica (superiore rispetto alla clorochina) riguardo alla sua tollerabilità. E le ricerche su questo aspetto continuano. Uno studio dell’Università di Nashville ha mostrato che l’uso di idrossiclorochina nei pazienti Covid che hanno anche un tumore non aumenta i rischi (mentre la terapia con questo farmaco associato all’antibiotico azitromicina fa salire di quasi tre volte la probabilità di morte). L’idrossiclorochina da sola non è risultata associata a danni, mentre il farmaco combinato con l’antibiotico ha mostrato un aumento di 2,9 volte del rischio di mortalità a 30 giorni, rispetto all’uso di nessun farmaco. (Salute, Corriere)
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