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Herpes zoster: la possibilità di recidive e la vaccinazione

Come prevenire le recidive dell’herpes zoster con la vaccinazione e quando effettuarla

L’herpes zoster, noto anche come fuoco di Sant’Antonio, è una malattia infettiva causata dal virus varicella-zoster, lo stesso virus che provoca la varicella. Dopo che una persona ha contratto la varicella, il virus rimane dormiente nel sistema nervoso per anni o addirittura decenni, ma può riattivarsi in seguito, causando l’herpes zoster.

La maggior parte delle persone ha solo un episodio di herpes zoster nella vita, ma in alcuni casi, il virus può riattivarsi più volte, causando recidive dell’infezione. Le recidive di herpes zoster sono più comuni in persone con un sistema immunitario indebolito, come quelle con l’HIV o che assumono farmaci immunosoppressori, ma possono verificarsi anche in persone con un sistema immunitario normale.

Durante una recidiva di herpes zoster, non è consigliabile effettuare la vaccinazione anti-herpes zoster, poiché il vaccino potrebbe non essere efficace durante l’episodio acuto dell’infezione e potrebbe anche potenzialmente causare un’attivazione del virus. Si consiglia di aspettare almeno un mese dopo la risoluzione dei sintomi acuti di herpes zoster prima di effettuare il vaccino.

Il vaccino anti-herpes zoster è raccomandato per le persone di età superiore ai 50 anni, in particolare per quelle con un sistema immunitario indebolito o che hanno già avuto un episodio di herpes zoster in passato. Il vaccino può aiutare a prevenire l’herpes zoster e le sue complicazioni, come il dolore post-erpetico.

In conclusione, l’herpes zoster può presentarsi più volte nella stessa persona, ma la vaccinazione anti-herpes zoster può aiutare a prevenire la malattia e le sue complicazioni. Tuttavia, durante una recidiva di herpes zoster, è consigliabile aspettare fino alla risoluzione dei sintomi acuti prima di effettuare il vaccino. Si consiglia di consultare il proprio medico per una valutazione individuale e per determinare il momento migliore per effettuare il vaccino anti-herpes zoster.

Il CAFFÈ BEVUTO A STOMACO VUOTO,
appena SVEGLI, può Far MALE alla SALUTE?

Non crea danni alla mucosa gastrica, ma berne una tazzina di corsa alla mattina è una cattiva abitudine, non tanto per colpa della bevanda quanto per la mancanza di cibo.

La mattina bevo caffè senza mangiare nulla. È un’abitudine sbagliata?

Se il caffè, appena svegli, non è accompagnato da qualche alimento è una pessima abitudine, non per colpa del caffè, ma piuttosto per colpa della mancanza di cibo. La colazione, infatti, è un pasto essenziale e saltarla comporta una serie di condizioni poco favorevoli, tra le quali l’aumento di peso corporeo. Quindi l’abitudine di sorseggiare un caffè e uscire di corsa da casa, peraltro abbastanza comune, è pessima anche considerando che si tratta di una bevanda irrilevante dal punto di vista delle calorie. Una colazione può cominciare a chiamarsi tale quando apporta almeno il 20 % delle calorie dell’intera giornata (per capirci, almeno 400 kcal, meglio ancora 500, per un fabbisogno ipotetico di duemila kcal).

È molto diffusa la convinzione che il caffè a stomaco vuoto faccia male perché acido e che si possa attutirne l’impatto con un po’ di latte o panna, ma in realtà non è così. Il caffè in effetti non può non definirsi acido, ma è nettamente meno acido dell’ambiente gastrico e meno acido per esempio del pomodoro. Quindi il problema non è l’acidità del caffè in sé: piuttosto bisogna considerare il fatto che il caffè stimola la secrezione di succo acido tramite la produzione di gastrina. Da qui deriva la convinzione che il caffè possa nuocere alla mucosa gastrica quando consumato senza accompagnamento di cibo. Se decaffeinato, lo stimolo risulta inferiore e questo indica che sia la caffeina sia altri componenti, soprattutto i polifenoli, sono coinvolti. Tuttavia lo stomaco, proprio perché ha un pH molto basso (il pH è l’unità con la quale si misura l’acidità: minore è il numero, maggiore è l’acidità) è ben protetto, proprio perché svolge la sua funzione sfruttando l’acidità che egli stesso produce. Per tutelarsi, oltre a secernere acido, lo stomaco produce anche uno strato di muco, che riveste la parete isolandola e difendendola dall’ambiente acido. Si tratta di quel film di muco che può essere «bucato» in determinate condizioni: consumo di alcol e di alcuni farmaci, come i comuni antinfiammatori che, è noto, determinano bruciore di stomaco come effetto collaterale e proprio per questo si consiglia di assumerli durante o in concomitanza dei pasti.

Ma il caffè non induce danni sul film mucoso.

È stato poi ipotizzato che, se consumato da solo, il caffè possa provocare reflusso esofageo poiché non solo stimola la secrezione di acido, ma contemporaneamente diminuisce la continenza dello sfintere esofageo. Nella popolazione normale però gli studi scientifici hanno escluso che il caffè, a digiuno o dopo un pasto, possa dare sintomatologia riconducibile a reflusso; in caso di malattia da reflusso preesistente, il consumo senza cibo potrebbe peggiorare i disturbi in alcuni pazienti, ma in collaborazione con altri fattori legati alla dieta, come l’eccesso di peso.

Che sia assunto a digiuno o meno il caffè esercita una serie di funzioni interessanti sul tratto intestinale. La caffeina, infatti, così come altre metilxantine, è capace di ridurre la calcolosi della colecisti, stimolando l’assorbimento degli acidi biliari a livello intestinale ed epatico. Il consumo di caffè sembra inoltre avere effetti positivi anche sul microbiota dell’intestino, poiché esercita uno stimolo alla produzione di batteri buoni a discapito dei batteri cattivi e potrebbe essere attraverso questo meccanismo che il caffè riduce il rischio di alcune malattie, dal diabete all’obesità, al Parkinson.

(Corriere)

“USCIRE CON I CAPELLI BAGNATI
FA VENIRE LA CERVICALE”,
VERO O FALSO?

In molti credono che uscire con i capelli bagnati faccia venire il mal di collo o cervicale.

FALSO Non uscire con i capelli bagnati che ti viene la cervicale” è la raccomandazione di mamme e nonne che, così dicendo, vorrebbero proteggere figli e nipoti dai sintomi della cervicale. Quello che le nostre mamme e nonne non sanno è che la “cervicale” o cervicalgia non viene come il raffreddore. Infatti, se una persona è in salute e non soffre di stress o di disturbi come ernie discali, può stare al sicuro e uscire anche con i capelli bagnati. Ma se una persona ha l’artrosi o presenta già delle contratture muscolari, situazioni di stress, uno sbalzo di temperatura, un colpo d’aria o anche il tempo che cambia possono accentuare una situazione già presente che si manifesta con la cervicalgia. Oggi, anche la tecnologia può essere causa dell’insorgere del dolore tipico del collo: posture errate a capo chino e spalle ricurve su smartphone e tablet tendono a irrigidire i muscoli delle spalle, nella zona cervicale, che si contraggono e sono tenuti “in alto” per tanto tempo. Si tratta di una postura frequente nei giovani e nei ragazzi: la cefalea che si manifesta è dovuta proprio alla contrattura muscolare di collo e spalle.

(Salute, Humanitas)

DORMIRE POCO FA MALE.
MA DORMIRE TROPPO?

Le prove scientifiche che dormire troppo faccia male non esistono. Però avvertire sempre il bisogno di poltrire a letto può essere la spia di qualcosa che non va. Dormire poco, si sa, fa male. Ma… dormire troppo?

Un recente articolo pubblicato su Science Alert prova a fare chiarezza sul tema dopo aver intervistato 26 medici esperti di sonno e della relazione tra sonno e salute.

7 ORE.
In generale, spiega Jo Caldwell, neuropsicologo della Marina Militare americana, il numero di ore di sonno e la salute sono profondamente legate tra loro. In media un adulto sano dovrebbe dormire circa 7 ore per notte: ogni ora in meno ha conseguenze dirette sulla salute, così come le ore in eccesso. Gli effetti negativi di un eccesso di sonno sarebbero simili a quelli derivanti da uno stile di vita sbagliato: sovrappeso, disturbi cardiaci, diabete, obesità.
È bene sottolineare come Caldwell sia arrivato a queste conclusioni valutando lo stato di salute di persone che avevano schemi di riposo differenti: uno studio dove sono stati osservati pazienti sottoposti a dosi di sonno crescenti non è mai stato condotto. Anzi, sottolinea Monika Haack, esperta in ricerche sul sonno ad Harvard, dormire a lungo ha effetti positivi su diversi sistemi biologici, sulla pressione del sangue, sulla sensibilità al dolore e sui meccanismi dell’umore.

QUANDO È TROPPO?
Jamie Zeitzer, ricercatore sulla biologia del sonno a Stanford spiega che interpretare la correlazione tra eccesso di sonno e cattivo stato di salute è molto difficile perché non si capisce come dormire possa favorire l’insorgenza di certe patologie. Potrebbe per esempio essere vero il contrario, e cioè che siano problemi cardiaci ed eccesso di peso a indurre le persone a dormire di più. Per il nostro fisico il riposo è una medicina e, quando c’è qualcosa che non va, è una strategia vincente. Altri esperti sono convinti che un “sovradosaggio di sonno” non esista: a meno di non ricorrere a farmaci e sonniferi, ad un certo punto ci si sveglia e si resta a letto perfettamente svegli, anche se magari con poca voglia di alzarsi.

A CIASCUNO IL SUO SONNO.
Ma come si fa a sapere quanto è giusto dormire? Ogni individuo ha necessità di riposo diverse, che dipendono anche da che cosa si fa durante la giornata. Una durata media di 7-8 ore è ragionevole: se si ha sempre la necessità di dormire molto più di così, o se il bisogno di dormire aumenta sensibilmente nel corso del tempo, potrebbe essere indice di qualcosa che non va. E allora è meglio consultare un medico.

(Salute, Focus)

UNA DIETA IPERPROTEICA È DANNOSA PER I RENI?

Fare una «scorpacciata» di proteine per un periodo lungo può avere conseguenze sulla salute dei reni. E i benefici per la linea non sono scontati

Se si decide di seguire un regime dietetico iperproteico, è fondamentale parlarne al proprio medico perché, come dimostrano diversi studi, ci potrebbero essere conseguenze negative sulla salute. Se non dura troppo a lungo, la scorpacciata di proteine non crea grandi problemi a chi gode di una buona salute renale, ma può invece risultare pericolosa per chi soffre di disturbi ai reni e può aumentare il rischio di calcoli renali in chi è predisposto. Inoltre, l’esclusione di interi gruppi di alimenti – in alcune fasi della dieta Dukan, per esempio, verdura e frutta sono bandite – può tradursi in carenze di nutrienti e in un conseguente senso di stanchezza o in problemi intestinali (se mancano le fibre). Infine, anche i vantaggi sulla bilancia non risultano così stabili come molti vorrebbero. Un sondaggio condotto su quasi cinquemila persone che avevano seguito la dieta Dukan ha dimostrato infatti che nel 70% dei casi il peso è tornato quello di partenza nel giro di tre anni.

(Salute, Fondazione Veronesi)

MAL di TESTA al RISVEGLIO,
che relazione c’è con il SONNO?

Il legame tra disturbi del sonno e mal di testa è molto saldo ed è a doppio filo.

Da un lato l’insonnia, ma non solo, può lasciare in eredità questo disturbo, dall’altro chi soffre di mal di testa, ad esempio di emicrania, rischia spesso di non godere di un sonno ristoratore. Chi si sveglia al mattino con un forte dolore al capo, non occasionale, farebbe bene a rivolgersi al medico per individuare la causa di questa condizione e indagare sulla relazione tra riposo notturno e mal di testa. D’altronde il legame non è casuale: sono le stesse aree cerebrali a controllare sonno e mal di testa. Ne parliamo con il dr Vincenzo Tullo, specialista neurologo e resp. dell’ambulatorio sulle cefalee di Humanitas.

Cefalee e sonno
La correlazione tra sonno e cefalee è variegata. Per cominciare, le ore notturne possono essere il periodo in cui si è colpiti da una crisi di mal di testa ed ecco perché, rispetto alla popolazione generale, i pazienti che soffrono di mal di testa hanno un rischio maggiore di soffrire di disturbi del sonno. I pazienti che sono affetti da cefalea a grappolo, una delle forme più invalidanti di cefalea, spesso possono dover fare i conti con un attacco notturno di mal di testa, in particolare durante la fase REM del sonno. Anche chi soffre di emicrania ne sa qualcosa: buona parte delle crisi emicraniche si verifica tra le quattro e le nove del mattino e non è quindi così infrequente che gli emicranici si sveglino con la sensazione di non aver riposato a sufficienza. La ricerca scientifica ha documentato, poi, una forma particolare di mal di testa notturno, ovvero la cosiddetta cefalea ipnica, che sorge esclusivamente durante il sonno ed è causa di risveglio. «Questo tipo di cefalea, caratterizzata tendenzialmente da un dolore bilaterale nei 2/3 dei casi, è pressoché tipica dell’età avanzata e il dolore è lieve-moderato (severo in 1/5 dei pazienti) con una durata fino a 4 ore dopo il risveglio», spiega il dottor Tullo. Il mal di testa al risveglio può essere associato anche a malattie come l’ipertensione arteriosa oppure agli stili di vita come, ad esempio, l’abuso di alcol prima di mettersi a letto oppure l’assunzione di posture errate durante il riposo notturno. In quest’ultimo caso si parla di cefalea tensiva: il mal di testa è associato a dolori muscolo-articolari della regione cervicale.

Gambe, denti e mal di testa
Svegliarsi con il mal di testa è un importante campanello d’allarme. Le tempie che pulsano, su uno o entrambi i lati del capo, appena aperti gli occhi, non sono proprio un indice di un buon risveglio e, anzi, possono indicare che il sonno “inquinato” sta causando il mal di testa. È importante dunque valutare il sonno come possibile fattore scatenante di questa affezione. Qualsiasi disturbo del sonno può causare il mal di testa, a cominciare naturalmente dall’insonnia: dormire troppo poco è alleato del mal di testa.

Altri disturbi del sonno possono essere indiziati:
dalla sindrome delle apnee ostruttive del sonno ai disturbi del ritmo circadiano, dalla sindrome delle gambe senza riposo fino al bruxismo, quella condizione in cui si digrignano o si serrano i denti durante il sonno. «Anche comportamenti più tipici del weekend o di una vacanza – continua lo specialista – quali dormire più a lungo o restare a letto a sonnecchiare, possono facilmente scatenare un attacco di emicrania che è la cefalea più frequente e invalidante nel mondo. Quindi in generale, per chi soffre di mal di testa, qualunque sia la tipologia, è sempre molto vantaggioso mantenere abitudini di sonno regolari e non dormire oltre il necessario»

(Salute, Humanitas)

Il COLORE del MUCO può cambiare e ha un significato preciso sulla SALUTE

Il muco nasale ha una funzione protettiva nei confronti degli agenti patogeni e può variare di colore da trasparente a nero: ogni tonalità indica diverse condizioni di salute

Il muco nel naso svolge moltissime funzioni e non ci si accorge della sua esistenza se non in caso di raffreddori o altri disturbi che interessano le vie aeree. Il muco (o catarro) , denso e appiccicoso,svolge una funzione protettiva di alcune aree come naso, bocca, gola, polmoni, tratto gastrointestinale impedendo che questi tessuti si secchino. Inoltre è in grado di intrappolare batteri e allergeni bloccando l’ingresso di agenti patogeni nell’organismo. Esaminare il colore del muco secreto dal corpo non è sufficiente per diagnosticare una patologia, ma è un aiuto per capire che cosa sta succedendo al proprio corpo e quali sono le cause dei problemi, soprattutto se la tonalità resta anomala per molto tempo.

Muco trasparente:
è il colore naturale del muco secreto dal corpo e significa che non ci sono problemi di salute. Il colore è trasparente perché è composto di acqua, sali, proteine e una serie di anticorpi capaci di aggredire patogeni esterni. Il muco è una specie di carta acchiappa mosche dove i patogeni vengono intrappolati e rappresenta la prima difesa contro virus e batteri. Normalmente i peli del naso spingono il muco attraverso la gola fino allo stomaco dove gli eventuali patogeni vengono sciolti dagli acidi.

Muco bianco:
la presenza di muco bianco potrebbe significare che è presente una leggera congestione nasale ed è un segnale di allergia, raffreddore o disidratazione. Il colore è determinato dall’infiammazione a carico dei tessuti nasali che si gonfiano e rallentano il flusso del muco. È questo il momento in cui il naso comincia a gocciolare.

Muco giallo:
la presenza di muco giallo è un chiaro segnale che l’organismo sta combattendo un’infezione. Durante un’infezione i globuli bianchi del sistema immunitario si precipitano sul sito per combattere l’invasore microbico, che si tratti di un virus o di un batterio. Dopo aver svolto il loro lavoro i globuli bianchi vengono espulsi dal corpo attraverso il muco che, proprio per questo processo, diventa giallo. Il muco giallo non significa che sono necessari antibiotici perché se l’infezione è virale gli antibiotici sono inutili.

Muco verde:
in questo momento il sistema immunitario è in piena attività contro agenti esterni potenzialmente molto pericolosi. Muco e catarro verdi sono presenti soprattutto con infezioni batteriche. Il colore verde è determinato dai molti globuli bianchi morti e da detriti cellulari ormai non più utili. In questo caso è sempre consigliabile contattare il medico, soprattutto con nausea e febbre.

Muco rosa o rosso:
in questo caso il rosso indica la presenza di sangue e può essere determinato dalla rottura di piccoli vasi sanguigni nelle vie aeree (quando si è molto raffreddati ci si soffia e si tocca spesso il naso). Anche un trauma fisico può far diventare il muco rosso, così come l’aria molto secca.

Muco marrone:
quando il sangue delle pareti nasali si secca può mescolarsi al muco che diventa così marrone. Tuttavia il muco marrone non è sempre dovuto al sangue secco, ma può essere dovuto al fatto di aver respirato polveri e inquinanti presenti nell’aria.

Muco nero:
il muco nero è più comune tra i forti fumatori, in particolare se soffrono di una malattia polmonare. Tuttavia, soprattutto tra le persone immunodepresse può essere il segnale di un’infezione fungina seria ed è raccomandabile rivolgersi a un medico, soprattutto in presenza di febbre e difficoltà respiratorie.

(Salute, Corriere)

LA PILLOLA PER LA PRESSIONE?
IN CERTI CASI È MEGLIO PRENDERLA ALLA SERA

Secondo uno studio assumere il farmaco prima di andare a dormire protegge meglio da problemi cardiovascolari. Ma la scelta va sempre fatta con il medico

IL MOMENTO MIGLIORE
Qual è l’ora giusta per prendere la pastiglia contro la pressione alta? Sul corretto orario dell’assunzione di questo farmaco non esistono per la verità linee guida precise, ma i medici in genere tendono a consigliare di farlo al mattino. Ora però uno studio appena pubblicato sull’European Heart Journal suggerisce che il momento migliore per prendere la pastiglia antipertensiva è quando si va a letto: in questo modo si controlla meglio la pressione nelle 24 ore e si riduce significativamente il rischio di morte per eventi cardiovascolari, come ictus e infarto, rispetto a chi assume il farmaco al risveglio.

LO STUDIO
Lo studio, il più ampio finora mai eseguito per dimensioni su questo argomento, ha seguito per 6 anni 19 mila pazienti ipertesi, che sono stati divisi in due gruppi in modo casuale: metà dei partecipanti ha preso la pillola al mattino, l’altra metà la sera. A tutti è stata misurata la pressione una volta l’anno per 48 ore. È emerso che chi aveva assunto la pastiglia prima di andare a letto non solo, come detto, aveva quasi dimezzato il rischio di morte per eventi cardiovascolari, ma aveva mantenuto la pressione più bassa nelle 24 ore, in particolare di notte. Cambiare l’orario di assunzione del farmaco potrebbe salvare molte vite».

LA PRESSIONE BASSA DI NOTTE È PROTETTIVA
Lo studio è coerente con precedenti evidenze scientifiche che mostrano come i valori medi della pressione minima misurata durante il sonno siano i più indicativi del rischio cardiovascolare di un individuo iperteso. La pressione bassa di notte è un elemento protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari.

CHE COSA DICE IL CARDIOLOGO
«Le conclusioni non vanno comunque generalizzate — ma il merito di questo studio è quello di sottolineare l’importanza di un trattamento individualizzato dell’ipertensione arteriosa. Alcuni pazienti infatti presentano un aumento patologico dei valori pressori nelle ore notturne, riconosciuto fattore di rischio per eventi cerebrovascolari. È quindi importante sottoporre gli ipertesi a un monitoraggio pressorio nelle 24 ore (Holter pressorio) in modo da avere chiaro l’andamento della pressione non solo nelle ore diurne ma anche in quelle notturne, identificando così coloro che più possono beneficiare di una somministrazione serale della terapia».

CHIEDERE SEMPRE AL MEDICO
Come hanno sottolineato gli stessi autori della ricerca serviranno altri studi per capire se il beneficio si applica con tutti i tipi di farmaci in commercio e su tutte le popolazioni. Prima di modificare in modo autonomo l’orario di assunzione della pillola contro l’ipertensione è comunque importante chiedere il parere al proprio medico curante perché potrebbero esserci motivi validi per cui il farmaco deve essere assunto alla sera oppure alla mattina.
(Salute, Corriere)

TORCICOLLO ADDIO,
ECCO COME COMBATTERLO

Si manifesta con un dolore acuto all’altezza del collo.

È un disturbo di natura muscolo-scheletrica e in sua presenza è difficile compiere movimenti di flessione, estensione e rotazione del capo. Il torcicollo è un disturbo abbastanza comune, dall’esordio improvviso e la cui risoluzione avviene in genere spontaneamente nel giro di qualche giorno. Ne parliamo con la dottoressa Lara Castagnetti, osteopata e specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa di Humanitas.

A COSA È DOVUTO IL TORCICOLLO?
A che cosa è dovuto il torcicollo? Quando è il caso di rivolgersi al medico? Fra le cause più comuni di questo disturbo ci sono le contratture muscolari e le problematiche a carico della colonna vertebrale. La contrattura muscolare può essere dovuta, per esempio, a uno sbalzo di temperatura, dall’assunzione di posizioni scorrette prolungate, ma anche da movimenti bruschi della testa e traumi: si pensi per esempio a un colpo di frusta in caso di incidente. In questi casi, il torcicollo dura qualche giorno e poi passa. Laddove il disturbo persista, potrebbe celare problemi alla colonna cervicale, come per esempio una condizione di sofferenza dei dischi intervertebrali magari legata a un’ernia del disco o più raramente a spondiloartriti, patologie reumatiche autoimmuni responsabili di un’infiammazione cronica alla colonna vertebrale.

DOCCIA TIEPIDA E MOVIMENTO AIUTANO A LENIRE IL DOLORE
Quando il dolore è molto forte una doccia tiepida è ciò che può aiutare di più: l’acqua infatti effettua una sorta di massaggio sui muscoli del collo e li rilassa. Oltre a ciò, se il medico approva, è possibile assumere alcuni farmaci antinfiammatori e si può ricorrere eventualmente al kinesio taping con l’applicazione di appositi cerotti che garantiscono un effetto antinfiammatorio e antidolorifico. Chi soffre di torcicollo spesso è convinto erroneamente che muovere il capo il meno possibile sia la cosa migliore da fare: questo in realtà è controproducente. Meglio invece provare a compiere piccoli movimenti controllati. Stare fermi infatti riduce il dolore nell’immediato, ma aumenta di fatto la rigidità muscolare e dunque il dolore. Possono essere quindi di aiuto esercizi di stretching che allunghino il collo.

COSA FARE SE IL DOLORE DURA DA PIÙ DI UNA SETTIMANA
Se il torcicollo si associa a difficoltà a respirare, a parlare, a camminare o a deglutire o in presenza di debolezza o intorpidimento agli arti, è bene recarsi in pronto soccorso per verificare non vi siano lesioni a carico delle strutture del sistema nervoso centrale. Se il dolore dura per più di una settimana è consigliabile rivolgersi al medico per gli opportuni accertamenti. Da non sottovalutare anche la presenza di sintomi quali mal di testa, mal di schiena e dolore alle spalle. Il medico potrebbe prescrivere esami quali radiografia e risonanza magnetica per verificare l’origine del disturbo.
(Salute, Humanitas)

“ARTRITE, gli Omega-3 Riducono
l’infiammazione delle Articolazioni”
Vero o Falso?

Sono in molti a credere che gli omega-3 riducano l’infiammazione e il dolore alle articolazioni nell’artrite. Vero o falso?

VERO. Anche se non è ancora chiaro se gli omega3 agiscano direttamente sulle articolazioni o sul sistema immunitario nel ridurre l’infiammazione delle articolazioni nell’artrite, è invece evidente il ruolo degli acidi grassi essenziali omega-3 nel ridurre i sintomi della malattia. Un recente studio iraniano condotto su 60 pazienti affetti da artrite reumatoide ha dimostrato che la supplementazione nella dieta quotidiana di omega-3 contenuti nel pesce aiuta a riduce la necessità di ricorrere a farmaci antinfiammatori – spiega l’esperto. – Il fatto che esista una relazione tra omega-3, in particolare del tipo EPA e DHA, e riduzione al ricorso di antinfiammatori sembra essere confermato anche dai livelli plasmatici, cioè nel sangue, di omega-3nei pazienti affetti da artrite reumatoide. Questo significa che gli omega-3 hanno un ruolo nel ridurre sia la rigidità al mattino tipica dell’artrite sia la diffusione del dolore e gonfiore alle articolazioni, riducendo così l’infiammazione e gli effetti negativi che derivano da un uso prolungato di antinfiammatori. Peraltro, chi consuma più omega-3, contenuti in abbondanza sia nel pesce azzurro che nel pesce grasso come il salmone, oppure nei semi di lino e semi di chi, sviluppa meno autoanticorpi contro la citrullina, ovvero quegli anticorpi che precedono lo sviluppo dell’artrite reumatoide e ne sono marcatori specifici. Un effetto simile da parte degli omega-3 si osserva anche in altre malattie infiammatorie croniche come la psoriasi.” (Salute, Humanitas)