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TORCICOLLO ADDIO,
ECCO COME COMBATTERLO

Si manifesta con un dolore acuto all’altezza del collo.

È un disturbo di natura muscolo-scheletrica e in sua presenza è difficile compiere movimenti di flessione, estensione e rotazione del capo. Il torcicollo è un disturbo abbastanza comune, dall’esordio improvviso e la cui risoluzione avviene in genere spontaneamente nel giro di qualche giorno. Ne parliamo con la dottoressa Lara Castagnetti, osteopata e specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa di Humanitas.

A COSA È DOVUTO IL TORCICOLLO?
A che cosa è dovuto il torcicollo? Quando è il caso di rivolgersi al medico? Fra le cause più comuni di questo disturbo ci sono le contratture muscolari e le problematiche a carico della colonna vertebrale. La contrattura muscolare può essere dovuta, per esempio, a uno sbalzo di temperatura, dall’assunzione di posizioni scorrette prolungate, ma anche da movimenti bruschi della testa e traumi: si pensi per esempio a un colpo di frusta in caso di incidente. In questi casi, il torcicollo dura qualche giorno e poi passa. Laddove il disturbo persista, potrebbe celare problemi alla colonna cervicale, come per esempio una condizione di sofferenza dei dischi intervertebrali magari legata a un’ernia del disco o più raramente a spondiloartriti, patologie reumatiche autoimmuni responsabili di un’infiammazione cronica alla colonna vertebrale.

DOCCIA TIEPIDA E MOVIMENTO AIUTANO A LENIRE IL DOLORE
Quando il dolore è molto forte una doccia tiepida è ciò che può aiutare di più: l’acqua infatti effettua una sorta di massaggio sui muscoli del collo e li rilassa. Oltre a ciò, se il medico approva, è possibile assumere alcuni farmaci antinfiammatori e si può ricorrere eventualmente al kinesio taping con l’applicazione di appositi cerotti che garantiscono un effetto antinfiammatorio e antidolorifico. Chi soffre di torcicollo spesso è convinto erroneamente che muovere il capo il meno possibile sia la cosa migliore da fare: questo in realtà è controproducente. Meglio invece provare a compiere piccoli movimenti controllati. Stare fermi infatti riduce il dolore nell’immediato, ma aumenta di fatto la rigidità muscolare e dunque il dolore. Possono essere quindi di aiuto esercizi di stretching che allunghino il collo.

COSA FARE SE IL DOLORE DURA DA PIÙ DI UNA SETTIMANA
Se il torcicollo si associa a difficoltà a respirare, a parlare, a camminare o a deglutire o in presenza di debolezza o intorpidimento agli arti, è bene recarsi in pronto soccorso per verificare non vi siano lesioni a carico delle strutture del sistema nervoso centrale. Se il dolore dura per più di una settimana è consigliabile rivolgersi al medico per gli opportuni accertamenti. Da non sottovalutare anche la presenza di sintomi quali mal di testa, mal di schiena e dolore alle spalle. Il medico potrebbe prescrivere esami quali radiografia e risonanza magnetica per verificare l’origine del disturbo.
(Salute, Humanitas)

“ARTRITE, gli Omega-3 Riducono
l’infiammazione delle Articolazioni”
Vero o Falso?

Sono in molti a credere che gli omega-3 riducano l’infiammazione e il dolore alle articolazioni nell’artrite. Vero o falso?

VERO. Anche se non è ancora chiaro se gli omega3 agiscano direttamente sulle articolazioni o sul sistema immunitario nel ridurre l’infiammazione delle articolazioni nell’artrite, è invece evidente il ruolo degli acidi grassi essenziali omega-3 nel ridurre i sintomi della malattia. Un recente studio iraniano condotto su 60 pazienti affetti da artrite reumatoide ha dimostrato che la supplementazione nella dieta quotidiana di omega-3 contenuti nel pesce aiuta a riduce la necessità di ricorrere a farmaci antinfiammatori – spiega l’esperto. – Il fatto che esista una relazione tra omega-3, in particolare del tipo EPA e DHA, e riduzione al ricorso di antinfiammatori sembra essere confermato anche dai livelli plasmatici, cioè nel sangue, di omega-3nei pazienti affetti da artrite reumatoide. Questo significa che gli omega-3 hanno un ruolo nel ridurre sia la rigidità al mattino tipica dell’artrite sia la diffusione del dolore e gonfiore alle articolazioni, riducendo così l’infiammazione e gli effetti negativi che derivano da un uso prolungato di antinfiammatori. Peraltro, chi consuma più omega-3, contenuti in abbondanza sia nel pesce azzurro che nel pesce grasso come il salmone, oppure nei semi di lino e semi di chi, sviluppa meno autoanticorpi contro la citrullina, ovvero quegli anticorpi che precedono lo sviluppo dell’artrite reumatoide e ne sono marcatori specifici. Un effetto simile da parte degli omega-3 si osserva anche in altre malattie infiammatorie croniche come la psoriasi.” (Salute, Humanitas)

SE IN CASA FA FREDDO (sotto i 18 gradi) gli IPERTESI SONO A RISCHIO

Uno studio giapponese mostra una relazione inversa tra temperature casalinghe e valori della pressione. Ma non solo: anche la temperatura instabile danneggia l’apparato cardiovascolare

Prezzo del gas alle stelle, bollette da capogiro, stipendi fermi al palo da anni. Così, per arrivare alla fine del mese, il prossimo inverno molte famiglie potrebbero essere costrette a tenere il riscaldamento spento oppure al minimo. Una scelta che giova al portafoglio, ma che rischia di danneggiare la salute. In particolare, pare che vivere in un’abitazione troppo fredda, con una temperatura inferiore ai 18 gradi, possa nuocere a chi ha la pressione del sangue alta (ipertensione). Ciò avviene perché, quando la colonnina di mercurio si abbassa, il calibro dei vasi sanguigni diminuisce (vasocostrizione), comportando un aumento pressorio.

Anziani e donne più sensibili alle temperature
Durante gli scorsi inverni, i partecipanti alla ricerca hanno misurato, tramite sensori di monitoraggio automatizzati forniti dagli studiosi, la temperatura in tre locali della casa (soggiorno, spogliatoio, camera da letto) e la loro pressione sanguigna, due volte al mattino e due alla sera, tenendo un diario per due settimane. Dalla rilevazione è emerso che le temperature medie erano di 16.8, 13 e 12.8 gradi rispettivamente in soggiorno, nello spogliatoio e in camera da letto, mentre quelle minime erano di 12.6, 10.4 e 11.2 gradi. In particolare, le temperature minime si sono attestate sotto i 18 gradi in oltre il 90% delle abitazioni, soprattutto in quelle delle famiglie a basso reddito e delle persone che vivono da sole. Un’associazione inversa: Questi dati sono stati, quindi, messi in relazione con i valori della pressione del sangue, mostrando un’associazione inversa: in pratica, ciò significa che più le temperature erano basse più la pressione era alta e viceversa. Nel dettaglio, gli esperti hanno notato che la pressione era più sensibile alla temperatura al mattino, registrando un incremento di 8.2 mm di mercurio (mmHg) per una diminuzione di 10 gradi, rispetto alla sera, quando a parità di riduzione di temperatura l’aumento registrato era di 6.5 mmHg. Hanno, inoltre, evidenziato che la sensibilità era maggiore nei residenti più anziani (di età pari o superiore a 57 anni) e nelle donne.

La pressione instabile
A danneggiare l’apparato cardiovascolare non è, però, solo la pressione alta, ma anche quella instabile, cioè con ampie fluttuazioni nel corso della giornata. In particolare, dallo studio è emerso che i partecipanti che vivevano in case con una lieve escursione termica tra il giorno e la notte (inferiore a 1 grado) mostravano una variabilità pressoria inferiore rispetto a quelli che vivevano in case con una maggiore differenza nella temperatura (4 gradi o più). Gli effetti positivi dell’isolamento termico In un secondo momento, gli esperti hanno valutato i medesimi parametri dopo che alcune abitazioni sono state sottoposte a isolamento termico, in cui si è provveduto a isolare pareti esterne, pavimento, tetto; a sostituire finestre a vetro singolo con quelle a vetri doppi. Grazie a questi interventi, la temperatura domestica è aumentata di 1.5 gradi, riducendo di 3.1 mmHg la pressione del sangue. Ciò dimostra che anche piccoli incrementi della temperatura possono risultare molto efficaci per tenere sotto controllo la pressione, un elemento fondamentale soprattutto per chi presenta un alto rischio cardiovascolare.

(Salute Repubblica)

Perché invecchiando si DORME di MENO?

Il calo di forma fisica e la progressiva perdita delle cellule che ci ordinano di dormire sono alcune possibili cause di insonnia con il progredire dell’età.

Ormai lo sappiamo: dormire bene e per il giusto numero di ore è indispensabile per consolidare la memoria, stabilizzare umore e metabolismo, liberarsi delle sostanze di scarto accumulate nel cervello ed avere un buon rendimento scolastico.

Addio, lunghi riposi.
Ma dopo una certa età, un’intera notte di sonno ininterrotto può equivalere a un miraggio: a mano a mano che invecchiamo dormiamo di meno, e anche la qualità del riposo diminuisce, perché spesso interrotto da una serie di microrisvegli. Se un 25enne trascorre molte ore nella cosiddetta fase profonda del sonno, quella in cui le onde corrispondenti all’attività cerebrale si fanno più ampie e meno frequenti, un 70enne passa, in questo stadio, solo pochi minuti a notte. Studi hanno dimostrato che il sonno profondo è indispensabile per il trasferimento delle memorie a breve termine accumulate nell’ippocampo alla corteccia prefrontale, dove si consolidano in memorie a lungo termine. La scarsa qualità del sonno in tarda età ha cattive conseguenze anche su questa facoltà cognitiva.

Da cosa dipende l’insonnia degli anziani? Cause cellulari.
Un fattore è rintracciabile nella perdita di neuroni nel nucleo preottico ventrolaterale dell’ipotalamo anteriore, una regione cerebrale deputata al regolamento dei ritmi sonno-veglia: queste cellule ci “dicono” quando è ora di dormire. E con l’età si riducono di numero. Più il n. di neuroni nell’area diminuisce, più disturbati saranno il sonno e la memoria. Come si ovvia a questo peggioramento della qualità del riposo notturno? Con il classico sonnellino pomeridiano, che aiuta a tamponare la situazione (ma può, ahimé, rendere più difficoltoso addormentarsi alla sera).

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BENESSERE DELLE PARTI INTIME,
ANCORA TROPPI GLI ERRORI DELLE DONNE

Antibiotici e antifungini usati con leggerezza, sintomi trascurati, abitudini di igiene intima che lasciano a desiderare: i tanti errori delle donne di tutte le età

Sono certo più informate e attente degli uomini in tema di problemi dell’apparato riproduttivo: tante vanno regolarmente dal ginecologo, conoscono l’importanza degli screening con il pap test, si sottopongono a ecografie e mammografie. Eppure molte donne non sono altrettanto attente quando si parla di piccoli disturbi che possono minare il benessere intimo o di sintomi e disagi come il dolore ai rapporti sessuali, per tante ancora difficili da discutere con il medico. Così, gli errori sono ancora troppi.

La tentazione del fai da te
Essendo abbastanza attente al proprio benessere, tutte si accorgono di segni insoliti come perdite abbondanti dall’odore sgradevole, bruciore, prurito. Il guaio è che la tentazione del fai da te è fortissima: una crema antibiotica, un antifungino da banco e molte pensano di poter risolvere il fastidio da sole senza andare dal ginecologo. Sbagliato, come sottolinea Francesco De Seta della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Ospedale maternoinfantile Burlo Garofolo di Trieste: «Appena hanno uno di questi sintomi, le donne pensano tutte che la colpa sia di un’infezione. Non è detto, perché un buon 40% di casi dipende da irritazioni su base allergica o simili: in queste situazioni applicare antibiotici o antifungini è un grosso errore.

Le donne più “a rischio” sono quelle che hanno già avuto infezioni, come candidosi o vaginiti batteriche: molte si curano come hanno fatto in passato ma è stato dimostrato che nel 60% dei casi non è una strategia corretta perché il disturbo è diverso. Morale, in caso di sintomi di qualunque genere è sempre meglio parlarne al ginecologo e nel frattempo, se proprio si vuole intervenire, usare solo farmaci da banco sintomatici, per es. per alleviare il prurito».

Cattive abitudini
Altro errore tipico e frequente dovuto alla scarsa consapevolezza di ciò che serve per mantenere un buon benessere intimo, l’uso inappropriato e abbondante di lavande vaginali: alla lunga possono essere irritanti, meglio utilizzarle solo quando serve dietro indicazione del medico. Molte poi non sanno che i detergenti troppo profumati possono risultare aggressivi sulle mucose delicate dell’apparato genitale: per evitare squilibri della flora batterica vaginale occorre scegliere saponi intimi con un pH acido, senza fragranze e ingredienti che possano risultare irritanti o allergizzanti.
Attenzione poi alla moda, che può contribuire non poco ai fastidi: una biancheria in materiale sintetico non traspirante, di colori forti o ricca di pizzi può provocare bruciori e pruriti da irritazione locale e facilitare le infezioni, perché senza un’adeguata traspirazione si crea un ambiente caldo umido ideale per la proliferazione dei germi.
Infine, attenzione alla dieta: poche sanno che l’alimentazione incide non poco sul benessere intimo femminile e che per es. troppi zuccheri favoriscono la Candida. «Recuperare una sana dieta mediterranea con molta frutta e verdura serve anche a mantenere in salute l’apparato genitale, prevenendo le infezioni e favorendo l’equilibrio della flora batterica vaginale, essenziale per un vero benessere», conclude il ginecologo.

(Salute, Corriere)

CICLO MESTRUALE,
UNO STUDIO SUGGERISCE PERCHÉ PUÒ
ESSERE COSÌ DOLOROSO

Il ciclo mestruale a volte può essere davvero doloroso. 8 donne su 10 devono fare i conti con i dolori mestruali e, di queste, la metà ricorre a un trattamento farmacologico.

È la sindrome premestruale, caratterizzata da diversi sintomi non solo fisici. Le sue cause non sono ancora del tutto note e dei ricercatori della University of California, David (Stati Uniti) suggerisce una possibile spiegazione alla base di questi dolori.

Secondo il team dietro questi dolori ci sarebbe un’infiammazione.
Gli scienziati hanno riscontrato un’associazione positiva e significativa tra un marcatore dell’infiammazione nel sangue (proteina C reattiva ad alta sensibilità) e la severità dei sintomi tipici della sindrome. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Women’s Health. La sindrome premestruale si presenta poco prima dell’arrivo delle mestruazioni, accompagnando il ciclo mestruale e regredendo in pochi giorni.

I suoi sintomi caratteristici sono:
– cambiamenti di umore con irritabilità, tendenza alla depressione, crisi di pianto, mal di testa, tensione mammaria, attacchi di fame, gonfiore e addirittura aumento di peso.

Dietro mal di testa e crampi un infiammazione?
Lo studio, al quale hanno partecipato 2939 donne tra 42 e 52 anni di età, ha individuato un legame tra alti livelli di questo marcatore dell’infiammazione e alcuni sintomi della sindrome: flessioni e sbalzi d’umore, crampi addominali/dolore alla schiena, maggior appetito/aumento di peso/gonfiore e dolore al seno ma non mal di testa. L’associazione variava però a seconda dei sintomi. Maggiore il livello di questa proteina, maggiore il rischio d’infiammazione e dunque di provare sintomi dolorosi. Questa correlazione, concludono i ricercatori, potrebbe avere importanti implicazioni cliniche per il trattamento e la possibilità di prevenire questi dolori. «Prima di impostare qualsiasi terapia è importante escludere possibili cause di dolore pelvico cronico come, ad esempio, l’endometriosi, la malattia infiammatoria pelvica, le cisti ovariche o i fibromi uterini, ma anche malattie non ginecologiche come cistiti, colite, diverticolite ed ernia del disco». «Per il trattamento del dolore – aggiunge – si può ricorrere ai farmaci antiinfiammatori non steroidei».

Per la sindrome premestruale, invece, a cosa possono ricorrere le donne?
«I trattamenti sono di tipo sintomatico, mirati ad alleviare i dolori e quindi a migliorare la qualità di vita. Oltre agli antidolorifici tradizionali, le pazienti possono assumere integratori alimentari a base di palmitoiletanolamide, acido alfalipoico e mirra, sostanze naturali che agiscono come modulatori biologici favorendo la risposta dei tessuti. Ma anche integratori a base di magnesio, calcio, potassio e sodio che migliorano la risposta antinfiammatoria, antiprostaglandinici sia farmacologici che naturali per ridurre le contrazioni uterine e quindi il dolore; infine alle terapie ormonali con associazioni estroprogestiniche (la “pillola”)».

(Salute, Humanitas)

Dalla Colazione alla CENA:
i trucchi dell’alimentazione Anti Afa

Le alte temperature fanno calare l’appetito ed è facile commettere errori nutrizionali. Va bene reintegrare i liquidi, ma bisogna garantirsi i giusti nutrienti. Ecco qualche suggerimento per la tavola estiva

Gelato e birra per rinfrescarsi… non va!
Riempirsi lo stomaco di bibite, gelati, birra, tè freddo, mangiare troppo poco perché l’appetito se ne va, non è una bella strategia per combattere il caldo e si rischiano di accumulare calorie su calorie, da zucchero e alcool, proprio quando si tende a muoversi di meno per via dell’afa. Di conseguenza l’eccesso calorico può tramutarsi in grasso corporeo. In realtà è vero che l’organismo ha particolarmente bisogno di liquidi (bene bere 1,2 – 2 litri d’acqua al dì) e di sali per reintegrare quelli dispersi col sudore, ma ha anche bisogno di mangiare cibi (digeribili), per introdurre i principi nutritivi necessari.

Ecco qualche «trucco», per combattere il caldo a tavola, senza eccedere con le calorie e non soffrire la fame.

Colazione
Appena svegli un paio di bicchieri di acqua fresca avviano l’idratazione mattutina. A colazione bene una tazza grande di yogurt magro, bianco . Le calorie sono poche (circa 70 per tazzona) e si potrebbe anche addolcirlo con un cucchiaino di miele. È ricco di proteine (6-7g per la dose indicata) ma non di lattosio. La muscolatura (e non solo) ne ha bisogno.

Pranzo
L’ideale è un passato tiepido di verdure miste (una miniera di sali minerali). In Francia li servono con una fetta di pane: un’ottima idea per un piatto più ricco di carboidrati complessi.

Cena
Sì alla pasta, meglio tiepida o fredda, condita con pomodoro fresco, basilico, uova a fettine, pezzetti di peperone arrosto, tonno, olio evo.

E la frutta?
Un bel piatto di frutta mista (ricca di acqua, sali, vitamine), fino a tre volte alla settimana può sostituire un pranzo, soprattutto al mare e integrare anche colazione e cena. Ma non esagerare perché la frutta può favorire la fermentazione intestinale e fare gonfiare la pancia. Meglio mangiarla intera piuttosto che spremuta, perché è ricca di fibre utili per l’intestino. Dai succhi le fibre vengono eliminate.

Le verdure sempre
Tutta e a tutte le ore perché apporta molta acqua, vitamine, sali e un nonnulla di calorie. Può integrare pasti e fuori pasto. Un cetriolo fresco o un pomodoro possono ingannare l’appetito e calmare la sete.

Bibite
Bene il frullato freddo di anguria ma anche il limone al seltz: è una via di mezzo fra il gelato e la bibita, disseta con poche calorie. Per farlo in casa: sorbetto di gelato (poco) in un bicchiere, acqua gasata e fettine di limone non trattato.

Le ZANZARE pungono più facilmente chi ha il SANGUE “Dolce”?

Con i primi caldi arrivano alcuni ospiti indesiderati: le zanzare, pronte a pungerci e a disturbare il nostro sonno con il loro fastidioso ronzio.

Avremo certamente notato che le zanzare sembrano pungere con un certo criterio: infatti sembrano avere delle preferenze nella scelta di chi pungere. Un’antica credenza sostiene che le zanzare siano attratte da chi ha il sangue “dolce”. Ma sarà vero?

I fattori che influiscono: anidride carbonica e acido lattico
Non sappiamo da cosa sia nata questa falsa credenza. Forse dal fatto che gli insetti impollinatori, come ad esempio le api, vengono attratte dalle sostanze dolci e dal nettare dei fiori, e magari si è pensato che similmente le zanzare percepiscano più o meno “dolci” gli individui. Niente di più falso, anche se le zanzare non pungono a caso: ci sono altri parametri che determinano la loro scelta verso una persona piuttosto che un’altra. Come altri insetti, le zanzare hanno un olfatto molto sviluppato, senso che utilizzano più della vista. Hanno la capacità di rilevare la presenza di anidride carbonica, la sostanza che espiriamo, e pare essere particolarmente invitante per loro. Tuttavia, la sola anidride carbonica non giustificherebbe alcuna preferenza, dato che si trova ovunque nell’atmosfera. Un’altra componente per loro irresistibile è l’acido lattico, che influisce nell’odore dell’essere umano. La combinazione anidride carbonica-acido lattico produrrebbe quindi un odore che attrarrebbe le zanzare.

Ovviamente influiscono altri fattori:
– le donne in stato di gravidanza sono più colpite perché emettono circa il 21% di anidride carbonica in più rispetto alle altre persone;
– chi è corpulento o in sovrappeso è più soggetto alle punture, proprio perché emette maggiore anidride carbonica.
– Gli sportivi sono estremamente colpiti dalle punture di insetti dal momento che, quando ci si allena, la presenza di acido lattico nell’organismo tende ad aumentare; inoltre anche la loro temperatura corporea è più alta, e le zanzare percepiscono questo aumento della temperatura come ottimale per il morso. Infine anche il microbiota della pelle, ossia l’insieme di batteri, funghi e germi che abitano sul derma, nei pori e nei follicoli piliferi possono influire sulla scelta predatoria delle zanzare, così come l’alimentazione: uno studio del 2002 ha dimostrato che l’assunzione di birra influisca non poco sulla probabilità di essere punti: pare che, quando è in circolo, la probabilità di un morso è doppia. Insomma, le motivazioni per cui una zanzara sceglie noi piuttosto che il nostro vicino sono tante, ma la “dolcezza” del sangue non è certamente tra queste.

(Salute, Humanitas)