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Perché ci sono Positivi anche tra i VACCINATI?

Su 10 immunizzati, almeno uno prende il virus lo stesso. “Ma nessuno in forma grave”.

Da quando è iniziata la campagna vaccinale si è detto di tutto e di più. Siamo stati travolti da un flusso infinito di informazioni contrastanti, in parte vere e in parte false. A essere messa in dubbio è stata anche l’efficacia dei vaccini e la loro stessa sicurezza. La verità è che sono ancora molte le domande che rimangono aperte, come ad esempio la durata dell’immunità offerta dal vaccino. Domande a cui la scienza potrà rispondere solo con il tempo. A molte altre invece abbiamo già una risposta, seppur parziale, che può essere utili e a chiarire alcuni dei più diffusi dubbi.

Perché ci sono vaccinati che risultano positivi?
“Il vaccino non è stato sviluppato per proteggere le persone dall’infezione, ma dalla malattia” spiega Massimo Andreoni, primario del reparto di Malattie Infettive del Policlinico di Tor vergata di Roma. Per cui può succedere che una persona vaccinata risulti positiva al test, anche se si tratterebbe comunque di un’eventualità non molto comune. Dai dati aggiornati sulla protezione dal’infezione asintomatica dei vaccinati emerge che solo 1-2 persone vaccinate su 10 rischiano di infettarsi. L’80-90% delle persone, quindi, risulta protetto anche dall’infezione asintomatica.

Un Vaccinato può ammalarsi gravemente?
“E’ davvero molto improbabile. i dati che abbiamo indicano che le persone vaccinate, con un qualsiasi dei tre vaccini attualmente approvati, hanno oltre il 90% di probabilità di non sviluppare forme gravi della malattia.

Chi si è vaccinato può contagiare gli altri?
“Anche in questo caso sarebbe molto improbabile. O almeno è così per gli altri vaccini che usiamo da ormai da tantissimo tempo. Perché per diventare contagiosi, è necessario che il virus si replichi un certo numero di volte. Se non lo fa perché si è vaccinati, di conseguenza né si sviluppa la malattia è né si diventa contagiosi.

Perché alcuni vaccinati non hanno anticorpi?
Succede, anche se in pochi casi, che dopo aver ricevuto il vaccino si risulti negativi al test sierologico. Ma non significa che il vaccino sia inutile. Il test sierologico individua gli anticorpi sviluppati a seguito della vaccinazione che si trovano in circolo nel sangue ma che non sono la sola misura dell’immunità di una persona al virus. Una persona quindi potrebbe non avere anticorpi visibili al test sierologico e avere lo stesso una memoria immunitaria del virus una volta che lo incontra: ci sono infatti delle cellule, responsabili della memoria immunologica, che si attivano e aggrediscono le cellule infette o producono anticorpi utili soltanto quando l’organismo viene esposto al virus contro il quale hanno “imparato a difendersi”.

Dura di più l’immunità dei guariti o dei vaccinati?
Non è stata ancora possibile determinare la durata dell’immunità, sia quella offerta da una precedente infezione che dal vaccino. Sappiamo però che gli anticorpi in circolo – a seguito dell’infezione possono durare meno rispetto a quelli stimolati dal vaccino. Questo comunque non esclude che il nostro sistema immunitario possa aver sviluppato una memoria non visibile al test sierologico anche in caso di guarigione.
(Salute, Il Messaggero)

VACCINI Anti-COVID: Perché Andranno Periodicamente Aggiornati

Gli anticorpi dei guariti e derivanti dai vaccini sono meno efficaci sulle varianti sudafricana e brasiliana: per neutralizzarle ne servono di più.

Per neutralizzare alcune delle nuove e diffuse varianti di coronavirus potrebbe servire una quantità di anticorpi maggiore di quella che proteggeva dalle passate infezioni. Pertanto gli anticorpi dei guariti, quelli sollecitati dai vaccini e i monoclonali potrebbero risultare meno capaci di proteggere dalle infezioni causate dalle nuove versioni del SARS-CoV-2. A lanciare l’allarme è uno studio (pubblicato su Nature Medicine) che dopo aver testato l’efficacia di anticorpi di diversa origine contro le tre principali varianti di coronavirus (Inglese, Sudafricana e Brasiliana) ha fatto intendere che potrebbe presto essere necessario aggiornare i vaccini di prima generazione.

NON ABBASTANZA
«C’è un’ampia variabilità nella quantità di anticorpi che una persona produce in risposta alla vaccinazione o all’infezione naturale. Ci sono persone che ne producono livelli molto elevati e risulterebbero probabilmente protetti anche dalle nuove varianti, ma altri, e in particolare penso ad anziani e immuno-compromessi, potrebbero non produrne abbastanza: se il livello di anticorpi necessari per essere protetti si decuplica, come indicano i nostri dati, allora potrebbero non averne abbastanza» La preoccupazione degli scienziati è che con la diffusione delle nuove varianti, proprio i più fragili non siano sufficientemente protetti dal contagio.

UN OSSO DURO
Il virus, ormai lo sappiamo, attacca le cellule usando come chiave la proteina spike, il bersaglio principale dei vaccini anti-covid e dei farmaci a base di anticorpi monoclonali. Benché i virus mutino continuamente, soltanto dall’inverno 2020 sono state individuate varianti con diverse mutazioni nei geni che codificano per la proteina spike, teoricamente pericolose perché potrebbero diminuire l’efficacia di vaccini e farmaci che prendono di mira proprio quell’obiettivo. Le varianti più sorvegliate, e anche quelle studiate nello studio, sono la B.1.1.7 (inglese), B.1.135 (sudafricana) e B.1.1.248 o P.1 (brasiliana), già individuate anche nel nostro Paese.

MAGGIORI QUANTITÀ
Gli scienziati per valute l’efficacia dei vaccini hanno messo a contatto virus delle tre diverse varianti con anticorpi del sangue di convalescenti da CoViD-19 o di persone che erano state immunizzate con il vaccino di Pfizer. Fortunatamente, per neutralizzare la variante Inglese è servita la stessa quantità di anticorpi necessaria per l’originale SARS-CoV-2. per le varianti brasiliana e sudafricana sono stati necessari anticorpi in quantità decisamente superiore, da 3 volte e mezzo a 10 volte più abbondanti.
(Salute, Focus)

Immunità dopo il Covid: ci si può Riammalare? Il caso Gaviria e gli effetti sul Vaccino

I casi di reinfezione da coronavirus esistono e a volte hanno generato una malattia più grave. Alcuni studi mostrano che gli anticorpi decadono dopo tre mesi: che cosa implicano per i futuri vaccini? Le risposte alle domande più comuni

Ci si può riammalare di Covid-19? La risposta è “sì”, ci si può riammalare di Covid-19, anche se è un evento molto raro. Su 40 milioni di persone abbiamo notizia certa di una ventina di casi confermati da analisi di laboratorio. Ovviamente esisteranno molte più persone che non sono “censite” e si sono riammalate, ma per ora la proporzione sembra veramente minima. «Se questo fosse un evento comune, avremmo visto migliaia di casi». Gli studi non sono facili: per decretare un caso di reinfezione, infatti, gli scienziati devono cercare differenze significative nei geni dei due coronavirus che causano entrambe le malattie.

Il caso del ciclista Gaviria
Ultimo caso di reinfezione in ordine di tempo, per notorietà, quello del ciclista Fernando Gaviria, lo sprinter sudamericano risultato positivo all’ultimo tampone molecolare nel secondo giorno di riposo del Giro d’Italia. Il colombiano fu, lo scorso marzo, il primo ciclista professionista al mondo a rimanere contagiato. La positività venne scoperta ad Abu Dhabi durante l’Uae Tour e il velocista fu costretto a una lunghissima quarantena in una struttura ospedaliera emiratina.

La seconda infezione può essere peggio della prima?
Sì, in alcuni casi lo è stata, come quello del 25enne del Nevada o quello (per ora unico) della donna morta dopo la seconda infezione, ma si trattava di una donna malata di tumore da tempo. Probabilmente stiamo sottostimando il numero di reinfezioni asintomatiche che potrebbero essere la maggioranza, ma ci sono sicuramente alcune persone che semplicemente non sviluppano buone risposte immunitarie a determinati agenti patogeni e che quindi, non sviluppando una buona memoria immunologica, possono essere reinfettate anche dopo breve tempo dallo stesso microorganismo. Sul perché a volte ci sia una malattia più grave in caso di reinfezione serviranno ulteriori indagini.

Per quanto tempo siamo immuni dopo aver contratto il Covid-19?
La maggior parte di chi si ammala di Covid-19 sviluppa anticorpi entro poche settimane. Le reinfezioni possono verificarsi per deficit qualitativi o quantitativi della risposta immunitaria, in alcuni casi dovuti a un’infezione troppo lieve cioè a bassa carica virale che quindi induce una risposta immunitaria limitata, in altri casi perché il sistema immunitario era compromesso da altri problemi di salute. Ma non sappiamo ancora per quanto tempo restiamo immuni, di sicuro in parte varia da persona a persona. Potrebbero essere mesi, quindi un tipo di immunità simile a quella che conferiscono gli altri coronavirus (come i raffreddori) oppure qualche anno come in chi aveva contratto il virus cugino della SARS1.

Due studi, uno pubblicato su Nature, giungono alla stessa conclusione: in alcuni soggetti la risposta anticorpale diminuisce dopo alcuni mesi e in alcuni soggetti gli anticorpi non sono neanche più rilevabili.

Gli asintomatici sono più a rischio reinfezione?
Il problema è che la stragrande maggioranza delle persone o non presenta sintomi o si ammala in modo blando: in questo caso non sappiamo se la risposta immunitaria indotta dall’infezione, di cui la presenza di anticorpi è una spia, sia davvero protettiva o se queste persone rischiano maggiormente una nuova infezione. Alcuni studi hanno mostrato che alcune persone, di solito i malati in modo lieve o asintomatico, hanno sviluppato un tipo di immunità diverso, l’immunità delle cellule T, una risposta che non viene rilevata dagli attuali test sierologici ma che potrebbe costituire una barriera immunologica contro il virus.

Chi si è già ammalato ed è guarito è soggetto agli stessi obblighi di chi non ha mai contratto il Covid-19?
Per questa incertezza sulla durata dell’immunità, chi ha già contratto il Covid-19 ed è guarito, dal punto di vista delle misure di contenimento in atto in Italia (e nel mondo) non ha obblighi diversi dalle altre persone: deve indossare la mascherina e deve essere sottoposto a tampone e quarantena nei casi disposti dalla legge.

L’immunità impedisce la trasmissione da coloro che vengono reinfettati?
Le persone che si infettando una seconda volta potrebbero essere anche contagiose, ma servirebbero studi più ampi per confermarlo
(corriere.it)