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PRIMA DEL CORONAVIRUS: LE PANDEMIE ED EPIDEMIE DAL ‘900 A OGGI

COVID-19 è l’ultima di una serie di pandemie che, dal Novecento a oggi, hanno sconvolto il nostro pianeta: dall’influenza spagnola all’epidemia SARS, dall’Ebola alla influenza aviaria, nell’ultimo secolo sono state molte le epidemie, la maggior parte delle quali sconfitte grazie al lavoro di ricercatori e medici di tutto il mondo.

L’influenza spagnola
L’influenza spagnola è stata un’epidemia influenzale che, nel biennio 1918-1920, ha causato la morte di quasi 50 milioni di persone. Il numero è impressionante anche perché a conti fatti la Prima Guerra Mondiale, altamente sanguinosa, aveva causato la metà delle vittime. Il primo caso fu registrato negli Stati Uniti, ma la pandemia prese il nome di “Influenza spagnola” a causa della forte censura di guerra che, all’epoca, i giornali di tutto il mondo stavano attuando. I giornali spagnoli furono semplicemente i primi a parlare di pandemia, e così si credette che fosse limitata, appunto, alla sola Spagna. Il virus influenzale, poi, si espanse con facilità insieme alle truppe sui fronti, facilitata dalla scarsa condizione igienica in cui i soldati erano costretti a vivere. Questo virus è considerato l’antenato dei 4 ceppi di influenza: A, A/l’H1N1 e A/H3N2, e del virus A/H2N2. Questi virus hanno circolato fino al 1977, quando l’H1N1 è riemerso causando un’ altra epidemia, chiamata influenza Russa, che si diffuse rapidamente colpendo soprattutto i giovani con meno di 25 anni con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente influenzali.

L’influenza Asiatica
Comparsa nella penisola di Yanan, in Cina, nel 1957, la pandemia asiatica è stata generata da un virus influenzale A, l’H2N2. L’influenza asiatica ha causato circa 2 milioni di morti ed era di origine aviaria: questo significa che il virus era presente negli uccelli e poi è stato trasmesso all’uomo.

La pandemia del 1968
Nel 1968 ci fu un’altra pandemia influenzale, generata a Hong Kong, dal sottotipo H3N2. La pandemia, che si diffuse in tutta l’Asia, non ebbe gravi conseguenze in Europa quanto negli Stati Uniti. Questo accadde grazie al fatto che uno dei due antigeni di cui era composto il virus aveva già colpito, 11 anni prima, la popolazione asiatica, che aveva sviluppato l’immunità. In tutto la pandemia del 1968 causò oltre un milione di vittime.

L’HIV
L’HIV è stata probabilmente la pandemia più importante della nostra storia recente, e ha ucciso più di 25 milioni di persone. L’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) non è di per sé un virus letale: nella pratica, provoca un progressivo indebolimento del sistema immunitario, attaccando e distruggendo i linfociti CD4, un particolare tipo di globuli bianchi responsabili della risposta immunitaria dell’organismo fino a renderlo vulnerabile nei confronti di altri virus, batteri, protozoi, funghi e tumori. I primi casi registrati sono del 1981 e il virus ha colpito tutti i Paesi, in modo particolarmente grave quelli del Terzo Mondo. Il virus si trasmette principalmente in tre modi: per via sessuale, tramite rapporti non protetti; per via ematica, tramite il sangue; per via verticale, ossia da madre al figlio durante il parto o attraverso l’allattamento In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: 1. HIV-1 2. HIV-2. Il primo dei due è prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. HIV-2, invece, si trova in Africa occidentale. Attualmente non esistono cure per l’eradicazione dell’infezione da HIV. Il trattamento dell’infezione da HIV consiste in un controllo del virus attraverso una combinazione di farmaci che blocca la replicazione del virus, riducendo carica virale e conseguentemente la distruzione del sistema immunitario.

La SARS
Il 2003 è l’anno della SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave), una forma atipica e particolarmente grave di polmonite, che uccide immediatamente 800 persone. La SARS ha avuto origine in una provincia cinese ed è stata scoperta da un medico italiano, Carlo Urbani, morto della stessa malattia. In totale, da novembre 2002 a luglio 2003, la SARS ha determinato 8096 casi in 17 Paesi, con un tassi di letalità del 10%.

L’influenza suina
Nel 2009 ci fu un nuovo allarme pandemia: l’influenza suina, causata da un virus del ceppo H1N1, ha causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi. Il virus si è particolarmente sviluppato nel continente americano e ha colpito prevalentemente uomini adulti in buona salute. L’infezione si trasmette da uomo a uomo per via aerea, come le comuni influenze: l’assunzione di carne di maiale non comporta la possibilità di contrarla.

L’Ebola
L’Ebola è stata scoperta nel 1976 nella Repubblica Domenicana del Congo e nel Sudan e, nel 2014, è stata riscontrata una nuova ondata di epidemia. Si tratta di un virus a RNA, che colpisce principalmente l’uomo e i primati, ma ne sono portatori anche i pipistrelli da frutta e causa una febbre emorragica che si trasmette attraverso fluidi corporei. La mortalità è molto elevata: se non curata immediatamente, si calcola una percentuale di decessi del 50-90%.

L’importanza della Ricerca
Le epidemie si possono contrastare insieme, grazie a uno strumento prezioso: la Ricerca. È grazie alla Ricerca, infatti, che abbiamo terapie e vaccini contro alcune delle malattie più pericolose che hanno sconvolto il nostro Pianeta. Solo acquisendo informazioni sul virus e conoscendolo a fondo possiamo agire. Al momento conosciamo molto poco le risposte immunitarie nei confronti del Coronavirus SARS-CoV-2 che causa Covid-19: non sappiamo, ad es., se gli anticorpi siano protettivi né quanto duri la memoria immunologica. E non sappiamo con certezza se la nostra prima linea di difesa (l’immunità innata e che da sola gestisce ed elimina più del 90% dei virus e batteri che incontriamo) funzioni e possa essere attivata anche nei confronti del Coronavirus. Per questi motivi anche la Ricerca Humanitas si è attivata coordinando diversi studi basati proprio sulla relazione tra sistema immunitario e Coronavirus SARS-CoV-2 con l’obiettivo di mettere a punto nuovi strumenti di diagnosi della malattia.
(Salute, Humanitas)

Dall’Ema, via libera all’iter per l’approvazione del vaccino anti Covid

Analizzati i dati di quello messo a punto da AstraZeneca e dall’Università di Oxford e già opzionato dall’Italia

Passo in avanti decisivo verso il vaccino anti-Covid. L’Ema ha iniziato ad analizzare i dati di quello messo a punto da AstraZeneca e dall’università di Oxford e già opzionato dall’Italia. E ha deciso di farlo attraverso la procedura velocizzata della cosiddetta rolling review. Mai richiesta fino ad ora da alcuna azienda in gara per il vaccino e che consente agli esperti dell’Agenzia di valutare i dati della sperimentazione passo dopo passo senza attendere la chiusura finale della sperimentazione e del relativo dossier informativo. E’ la stessa agenzia europea del farmaco a precisare dal proprio sito, che quello di AstraZeneca, Oxford e la nostra Irbm è il primo candidato che arriva a questa fase. «L’inizio della `rolling review – spiega l’Ema – vuol dire che il comitato per i medicinali umani ha iniziato a valutare il primo set di dati, che viene dagli studi di laboratorio, quindi non ancora non dai dati clinici. Anche se da tempo sono in corso contatti informali tra l’Agenzia e i ricercatori di Astra Zeneca, che lasciano ben sperare circa una conclusione rapida e positiva dell’iter autorizzativo.

Anche se il comunicato dell’Ema resta improntato alla prudenza. L’inizio della procedura velocizzata, prosegue infatti  la nota, «non implica che una conclusione possa già essere raggiunta sulla sicurezza o l’efficacia del vaccino, visto che la maggior parte dei dati deve ancora essere sottoposto al comitato».
La `rolling review´, spiega l’Ema, è uno degli strumenti regolatori messi in campo per accelerare l’approvazione. Normalmente tutti i dati sono forniti insieme all’inizio della richiesta di autorizzazione alla commercializzazione, mentre in questo caso il Chmp, il comitato dell’Ema incaricato della valutazione, li revisiona man mano che sono disponibili, fino a decidere che sono sufficienti per una richiesta formale. «La decisione di iniziare la rolling review del vaccino si basa sui risultati preliminari non clinici e sulle prime sperimentazioni cliniche – afferma il comunicato -, che suggeriscono che il vaccino stimola la produzione di anticorpi e di cellule T del sistema immunitario che hanno il virus come obiettivo. Sperimentazioni cliniche su larga scala su migliaia di persone sono in corso, e i risultati saranno disponibili nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Questi forniranno informazioni su quanto sia efficace il vaccino nel proteggere dal Covid-19, cosa che verrà valutata in cicli di revisione successivi». Il vaccino di AstraZeneca è uno di quelli più avanti nella sperimentazione, nonostante uno stop di alcuni giorni dovuto alla revisione dei dati su alcuni pazienti che avevano mostrato effetti collaterali gravi.
(lastampa.it)

Covid19: le nuove bufale, dalla suola delle scarpe alle zampe degli animali

Il pane fresco o le verdure crude possono essere contaminate da nuovo coronavirus e trasmettere l’infezione a chi li mangia? Allo stato attuale non vi sono informazioni sulla sopravvivenza del virus sulla superficie degli alimenti, ma la possibilità di trasmissione del virus attraverso il pane fresco, o altri tipi di alimenti è poco probabile, visto che la modalità di trasmissione è principalmente attraverso le goccioline che contengono secrezioni respiratorie ( droplets) o per contatto, purché manipolando il pane, come altri alimenti, sia rispettata l’igiene delle mani, che consiste nel  lavaggio accurato con acqua e sapone per almeno 20 secondi, e in caso di tosse o starnuti si usi un fazzoletto usa e getta per coprire le vie respiratorie e poi si lavino subito le mani prima di toccare il pane o le verdure.

La suola delle scarpe può portare il virus in casa contaminando le superfici e esponendo al contagio? Il tempo di sopravvivenza del virus in luoghi aperti non è attualmente noto. Teoricamente se si passa con la suola delle scarpe su una superficie in cui una persona infetta ha espulso secrezioni respiratorie come catarro, ecc. è possibile che il virus sia presente sulla suola e possa essere portato in casa. Tuttavia, il pavimento non è una delle superfici che normalmente tocchiamo, quindi il rischio è trascurabile.  In presenza di bambini si può mantenere un atteggiamento prudente nel rispetto delle normali norme igieniche, togliendosi le scarpe all’ingresso in casa e pulendo i pavimenti con prodotti a base di cloro all’0.1% (semplice candeggina o varechina diluita)

Se torno da una passeggiata con il mio cane devo pulirgli le zampe? La sopravvivenza del nuovo Coronavirus negli ambienti esterni non è al momento nota con certezza. Se il cane viene a contatto con le zampe con secrezioni respiratorie espulse a terra da persone infette è teoricamente possibile che possa trasportare il virus anche se non vi sono al momento evidenze di contagi avvenuti in questo modo. Quindi, si tratta di osservare l’igiene accurata delle superfici e delle mani lavando i pavimenti con soluzioni a base di cloro all’0.1% (la comune candeggina o varechina), le altre superfici con soluzioni a base di cloro allo 0,5% e le mani con acqua e sapone per oltre 20 secondi o con soluzioni/gel a base alcolica, per uccidere i virus. E’ possibile al rientro a casa lavare le zampe del cane con acqua e sapone, analogamente a quanto facciamo con le nostre mani, avendo cura di asciugarle bene e comunque è opportuno evitare di farlo salire con le zampe su superfici con le quali veniamo a contatto (ad esempio su letti o divani)

Se si è dovuti uscire per lavoro o emergenze, al rientro in casa bisogna lavare i capelli e gli indumenti indossati? Il virus sopravvive su capelli e indumenti? Con il rispetto della distanza di almeno un metro dalle altre persone è poco plausibile che i nostri vestiti, o noi stessi, possano essere contaminati da virus in una quantità rilevante. Tuttavia, sempre nel rispetto delle buone norme igieniche, quando si torna a casa è opportuno riporre correttamente la giacca o il soprabito senza, ad esempio, poggiarli sul divano, sul tavolo o sul letto.

(ISS 23 marzo)

CORONAVIRUS E SUPERFICI: SAPPIAMO come COMPORTARCI per EVITARE il CONTAGIO?

Sappiamo che il Coronavirus si trasmette attraverso le goccioline di saliva che, quando parliamo, starnutiamo o tossiamo, passano dalla persona infetta ad altre persone.

Come tanti altri virus, però, il COVID-19 può rimanere attivo per diverso tempo fuori dall’organismo, su alcuni materiali, tessuti e superfici. Conoscere in quali posti il virus possa più facilmente sopravvivere è importante per provare a contrastare il contagio, pulendo correttamente alcuni insospettabili oggetti e superfici. Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Elena Azzolini, medico della direzione sanitaria di Humanitas.

Il “contatto stretto”
Il virus può trasferirsi facilmente da un individuo all’altro (attraverso, come abbiamo detto, le goccioline di saliva) se questi si trovano a meno di 2 metri di distanza. Tuttavia, se una persona infetta da COVID-19 starnutisce, le goccioline di saliva possono cadere a terra o sulle superfici intorno, o rimanere sospese nell’aria per poco tempo percorrendo una distanza generalmente breve. È questo il motivo per cui si insiste tanto sull’evitare di stare a contatto con gli altri e di stare il più possibile a casa: i centri commerciali e i supermercati sono luoghi in cui il contagio è più probabile.

QUANTO RESISTE IL CORONAVIRUS SULLE SUPERFICI CONTAMINATE?
Il virus depositato su una determinata superficie, come ad esempio le maniglie delle porte, può restare attivo per diverso tempo e, a sua volta, contagiare terzi. In questi giorni sono molti i ricercatori che stanno studiando il funzionamento del virus, di cui ancora sappiamo troppo poco: tuttavia, abbiamo qualche dato certo che ci permetteranno di fare più attenzione. Le superfici più esposte al contagio sono, oltre alle maniglie delle porte, i cellulari, le tastiere, le pulsantiere degli ascensori, i sostegni per aggrapparsi sui mezzi pubblici.
Un recente articolo, pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, mostra come il virus possa sopravvivere per tempi diversi in base al materiale su cui si deposita. L’arco temporale dipende dalle caratteristiche della superficie: ad esempio, quelle meno porose (come plastica e acciaio) assorbono meno facilmente le goccioline, che quindi restano attive.
 Plastica: fino a 72 ore
 Acciaio: fino a 72 ore
 Carta e cartone: fino a 24 ore
 Rame: fino a 4 ore

Il rischio diminuisce notevolmente con il passare delle ore, ma non si annulla se non dopo qualche giorno.

COME DISINFETTARE LE SUPERFICI?
I disinfettanti hanno la capacità di ridurre al minimo o di annullare la trasmissione dell’infezione da parte del virus. Consigliamo quindi di prediligere prodotti disinfettanti che contengano alcol almeno al 75%, o prodotti a base di cloro all’1% (come ad es. la candeggina). Lavare spesso e bene le mani è comunque il metodo più valido per ridurre la contaminazione.
(Salute, Humanitas)

La Vitamina C cura il Coronavirus?

In un momento di incertezza come questo, in cui le informazioni circolano liberamente senza che ci sia un controllo opportuno della loro veridicità, bisogna stare attenti a cosa leggiamo e, magari, condividiamo sui social.

Sono molte le persone che sostengono che, assumendo Vitamina C, non solo si possa curare il Coronavirus, ma addirittura se ne possa prevenire il contagio. Ma cosa c’è di vero in questa affermazione? Ne abbiamo parlato con il dottor Michele Lagioia, Dir. medico sanitario di Humanitas,

FALSO

No, la vitamina C non cura, né previene il contagio da Coronavirus. L’acido ascorbico (o Vitamina C) è una Vit amina Idrosolubile che il nostro organismo non riesce ad accumulare e conservare, e che va quindi assunta con l’alimentazione. È implicata in diverse reazioni metaboliche e nella biosintesi di amminoacidi, ormoni e collagene ed è rinomata per il suo effetto antiossidante. La vitamina C partecipa anche nella prevenzione dell’insorgenza di tumori, rafforzando il nostro sistema immunitario e ostacolando la sintesi delle sostanze cancerogene, in particolar modo nello stomaco. Il suo aiuto è indispensabile anche nel contrasto dei radicali liberi. La sua importanza non è quindi in discussione, tuttavia il suo ruolo nella guarigione dal Coronavirus è una notizia priva di fondamento. Male non fa, certo, a meno che non se ne abusi: il rischio di fake news come questa è che le persone assumano troppa vitamina C, rischiando l’ipervitaminosi e conseguenti disturbi ai reni, allo stomaco, all’apparato digerente in generale. Similmente, lo ricordiamo, la vitamina C non ha alcuna proprietà terapeutica nella cura dei sintomi influenzali e pertanto non può essere di alcun aiuto nella prevenzione o nel trattamento di un raffreddore; al massimo potrebbe abbreviare l’episodio influenzale, bisogna stare attenti a non abusarne.

(Humanitas)

Attenzione a…come usi i guanti

I guanti servono a prevenire le infezioni?

Si, a patto che:

  • non sostituiscano la corretta igiene delle mani che deve avvenire attraverso un lavaggio accurato e per almeno 60 secondi
  • siano ricambiati ogni volta che si sporcano ed eliminati correttamente nei rifiuti indifferenziati
  • come le mani, non vengano a contatto con bocca naso e occhi
  • Siano eliminati al termine dell’uso, per esempio, al supermercato
  • Non siano riutilizzati

Dove sono necessari?

  • in alcuni contesti lavorativi come per esempio personale addetto alla pulizia, alla ristorazione o al commercio di alimenti
  • Sono indispensabili nel caso di assistenza ospedaliera o domiciliare a malati

(ISS 16 marzo 2020)

I SINTOMI IN MEDIA 5,1 GIORNI DOPO L’ESPOSIZIONE AL VIRUS. “ECCO PERCHÉ LA QUARANTENA È DI 14 GIORNI”

Nuova analisi della Johns Hopkins University. La media dell’incubazione da coronavirus è 5 giorni. Ma la maggior parte dei casi mostra i sintomi entro 11 giorni.


I primi sintomi del coronavirus, a fine incubazione, iniziano in
media circa dopo 5,1 giorni dalla prima esposizione al virus. In pochissimi casi si sono manifestati oltre i due giorni dopo, nella maggior parte dei casi si manifestano dopo undici giorni: il valore medio è dunque stimato intorno ai 5 giorni.
E’ quanto affermano i ricercatori dell’Università americana Johns Hopkins in un articolo pubblicato oggi sulla rivista Annals of Internal Medicine.
Gli scienziati, che hanno studiato una serie di casi cinesi nel periodo di febbraio, hanno condotto una analisi sull’incubazione del Covid-19 e stabilito che il 97.5% delle persone che sviluppano sintomi di infezione da SARS-CoV-2 mostrerà questi sintomi entro 11,5 giorni dall’esposizione.
In pratica, scrivono gli esperti, ogni 10 mila persone messe in quarantena per due settimane solo 101 in media potrebbero sviluppare qualche sintomo dopo essere rilasciate dalla quarantena.
Per questo gli scienziati della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health indicano che il periodo di 14 giorni di quarantena usato per esempio nei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie per individui potenzialmente esposti da coronavirus è un “periodo di tempo ragionevole per monitorare gli individui e lo sviluppo della malattia”. In sostanza due settimane sono quelle necessarie (anche se ci può essere qualche caso extra, che va dunque oltre questo lasso di tempo) per rendersi conto di un possibile contagio. Per affermare ciò i ricercatori della Johns Hopkins, lo stesso istituto che da mesi ha diffuso e resa pubblica la mappa del contagio in tempo reale, hanno analizzato 181 casi provenienti soprattutto dalla Cina (zona Hubei) e rilevati prima del 24 febbraio. Per lo più si tratta di persone che potevano avere una idea del periodo del contagio, dato che avevano viaggiato da o verso Wuhan, città cinese considerata al centro dell’epidemia. Questi cittadini, secondo gli studi effettuati, mostravano in media un periodo di incubazione di 5,1 giorni.
Sono stati registrati il possibile periodo dell’esposizione, l’insorgenza dei primi sintomi, della tosse, della febbre, e grazie a ogni caso rilevato è stato creato un modello di distribuzione del periodo di incubazione. E’ emerso appunto che meno del 2,5% delle persone infette mostrava sintomi entro 2,2 giorni e più del 97% entro i 11,5 giorni. Per Justin Lessler, professore di epidemiologia della Johns Hopkins, “in base alla nostra analisi dei dati disponibili l’attuale raccomandazione di 14 giorni per il monitoraggio attivo o per la quarantena è un periodo ragionevole, anche se alcuni casi potrebbero andare oltre”. La stima accurata del periodo di incubazione potrebbe, chiosano gli scienziati, aiutare epidemiologi ed esperti a valutare meglio la dinamica e i meccanismi dell’epidemia e allo stesso tempo studiare, da parte dei funzionari di sanità pubblica, sistemi e misure efficace per la quarantena o l’isolamento, esattamente come sta avvenendo ora in Italia.
(Salute, La Repubblica)

Chi muore di coronavirus?

Secondo i dati dell’Oms su 90.870 casi confermati di contagio da nuovo coronavirus a livello mondiale sono morte 3.112 persone. L’identikit delle vittime

Secondo i dati più aggiornati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), contenuti nel report del 3 marzo, su 90.870 casi confermati di contagio da nuovo coronavirus a livello mondiale sono morte 3.112 persone. Di questi decessi, 2.946 (il 94,7 per cento) sono avvenuti in Cina. Dei 166 registrati al di fuori del Paese asiatico, 52 sono avvenuti in Italia (seconda dietro all’Iran, con 66 vittime). I dati dell’Oms del 3 marzo, aggiornati alle 10 del mattino, sono però già “vecchi”. Il 4 marzo l’Istituto superiore di sanità – che riporta i dati sempre relativi al 3 marzo, ma aggiornati alle 6 di sera – registra in Italia 79 decessi tra i contagiati dal coronavirus.

Ma qual è l’identikit delle vittime?

Per ragioni di tutela della privacy, l’Oms e l’Iss (e le altre istituzioni sanitarie internazionali) non riportano i dati relativi a età, sesso e condizioni patologiche preesistenti dei contagiati dal coronavirus che poi sono morti (non è sempre chiaro con che rapporto di causa/effetto). Tuttavia esistono due studi, uno della missione dell’Oms in Cina e l’altro del Centro cinese di controllo e prevenzione delle malattie (Ccdc), che hanno analizzato decine di migliaia di casi verificatisi in Cina e ne hanno estrapolato alcune rilevanti informazioni. Non abbiamo invece studi sui casi registrati in Italia. Lo studio dell’OmsLo studio dell’OmsReport of the Who-China Joint Mission on Coronavirus Disease 2019 (Covid-19) – è stato pubblicato il 28 febbraio 2020 e ha analizzato 55.924 casi confermati in laboratorio di persone contagiate dal nuovo coronavirus. Come avverte lo stesso studio, i risultati sono da prendere con cautela, considerato che sono stati raccolti in una fase ancora iniziale del contagio. Le percentuali potrebbero in particolare risultare sovrastimate, visto che moltissimi contagiati nelle fasi iniziali (che, statisticamente, sono guariti in pochi giorni senza doversi recare in ospedale) non sono probabilmente stati registrati. Il tasso di letalità (cioè il rapporto che tra contagiati e deceduti) del nuovo coronavirus secondo lo studio Oms  era, nel campione preso in considerazione, pari al 3,8 per cento. Questa percentuale si alza però moltissimo con l’aumentare dell’età del contagiato, arrivando al 21,9 per cento per gli over-80. Lo studio riporta poi che il tasso di letalità è in media più alto tra gli uomini che tra le donne (4,7 per cento contro 2,8 per cento). I pazienti poi che non hanno altre malattie a parte il coronavirus hanno tassi nettamente più bassi della media, l’1,4 per cento. Quelli che invece hanno condizioni sanitarie compromesse da altre malattie oltre al coronavirus hanno percentuali più alte: il 13,2 per cento tra chi ha malattie cardiovascolari, il 9,2 per cento tra i diabetici, l’8,4 per cento tra chi soffre di ipertensione, l’8 per cento tra chi soffre di malattie respiratorie croniche, il 7,6 per cento tra chi è malato di cancro.

Lo studio del Ccdc

Lo studio del CcdcThe Epidemiological Characteristics of an Outbreak of 2019 Novel Coronavirus Diseases (Covid-19) – è stato pubblicato il 17 febbraio 2020 e prende in considerazione 72.314 pazienti tra casi confermati (44.672, la maggioranza), sospetti e asintomatici. Il tasso di letalità medio tra i casi confermati, secondo questo studio, è del 2,3 per cento. È poi più alto nei maschi che nelle femmine (2,8 per cento contro 1,7 per cento) e varia sensibilmente con l’aumentare dell’età (Tavola 1). Nelle fasce di età 10-19 anni, 20-29 anni e 30-39 anni il tasso di letalità è dello 0,2 per cento (sempre tra i casi confermati). Sale allo 0,4 per cento nella fascia 40-49 anni, all’1,3 per cento in quella 50-59 anni, al 3,6 per cento in quella 60-69 anni, all’8 per cento in quella 70-79 anni e al 14,8 per cento tra gli over-80. Anche secondo lo studio cinese (Tavola 1), poi, l’assenza di altre malattie fa calare sensibilmente il tasso di letalità (0,9 per cento). Tra i malati cronici, chi ha malattie cardiovascolari ha un tasso del 10,5 per cento, chi soffre di diabete del 7,3 per cento, chi di malattie respiratorie croniche del 6,3 per cento, chi di ipertensione del 6 per cento e chi è malato di cancro del 5,6 per cento.

Conclusione

Sulle caratteristiche delle vittime causate finora dal nuovo coronavirus non esistono statistiche complete riferite a tutti i casi. Ci sono però due autorevoli studi, entrambi condotti su chi si è ammalato in Cina, dell’Oms e del Ccdc che danno una serie di indicazioni. Al netto delle discrepanze tra i due report, quello che emerge è che il tasso di letalità è superiore tra gli uomini rispetto alle donne, che il rischio aumenta – e di molto – con l’aumentare dell’età della persona contagiata e che i pazienti che non hanno altre malattie, a parte il coronavirus, hanno tassi di letalità più bassi della media. Tra chi ha altre malattie, oltre al coronavirus, i tassi di letalità sono sempre più alti della media e in particolare risultano più esposti di tutti i soggetti che soffrono di malattie cardiovascolari. Per quanto riguarda specificamente l’Italia, come detto in apertura, non abbiamo studi analoghi a quelli di Oms e Ccdc. La rilevanza delle due caratteristiche “età” e “compresenza di altre malattie”, per quanto riguarda l’innalzamento dei tassi di letalità, sembra comunque confermata anche nel nostro Paese dalle notizie di cronaca (qui e qui ad esempio) e dalle indicazioni del Ministero della Salute.

(agi.it)

NUOVO CORONAVIRUS: quanto è MORTALE?

Il nuovo coronavirus è molto contagioso, ma il suo tasso di mortalità è inferiore a quello di altre epidemie, come la SARS e la MERS.

Il numero di persone contagiate dal nuovo coronavirus (nCoV) cresce a vista d’occhio, con i primi casi anche in Italia: nel momento in cui scriviamo i casi accertati hanno quasi raggiunto quota 10.000, e i morti sono 213. Per avere un metro della gravità della situazione attuale, può essere utile confrontare il virus con altre epidemie scoppiate negli ultimi cinquant’anni, paragonandone il tasso di mortalità e il numero di paesi colpiti. Nonostante non si parli ancora di pandemia, l’OMS ha dichiarato l’emergenza globale (è la sesta volta dall’inizio del 2009). Per il momento, il nuovo coronavirus (chiamato coronavirus Wuhan 2019nCov…) ha un tasso di mortalità relativamente basso (2%). Il più mortale da cinquant’anni a questa parte è stato il virus di Marburg, isolato nel 1967, che ha ucciso 373 persone, pari all’80% dei 466 infetti. La “percezione” di gravità sta nel fatto che il nuovo patogeno è altamente contagioso e si sta diffondendo nel Paese più popoloso del mondo, e per questo motivo le morti sembrano molte – anche se in percentuale non lo sono: un po’ come l’influenza stagionale, che pure ogni anno provoca centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo perché colpisce milioni di persone. (Salute, Focus)

I casi del Nuovo Coronavirus in Tempo Reale

Il sito che fornisce i dati ufficiali sulla diffusione del coronavirus all’interno e al di fuori della Cina.

Questa mappa interattiva, realizzata dal dipartimento di Ingegneria Civile e dei Sistemi della Johns Hopkins University di Baltimora (USA), mostra la diffusione del coronavirus nel mondo, praticamente in tempo reale. Si tratta dunque non di stime, ma di dati basati su casi accertati (di decessi e di persone ricoverate) dall’Organizzazione mondiale della sanità, dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC), dalla community cinese per medici e operatori sanitari cinese Ding Xiang Yuan e dalla Commissione nazionale per la salute (NHC) della Repubblica popolare cinese.

Clicca qui per ingrandire la mappa a tutto schermo (utile da computer o tablet).

(Salute, Focus)