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“USCIRE CON I CAPELLI BAGNATI
FA VENIRE LA CERVICALE”,
VERO O FALSO?

In molti credono che uscire con i capelli bagnati faccia venire il mal di collo o cervicale.

FALSO Non uscire con i capelli bagnati che ti viene la cervicale” è la raccomandazione di mamme e nonne che, così dicendo, vorrebbero proteggere figli e nipoti dai sintomi della cervicale. Quello che le nostre mamme e nonne non sanno è che la “cervicale” o cervicalgia non viene come il raffreddore. Infatti, se una persona è in salute e non soffre di stress o di disturbi come ernie discali, può stare al sicuro e uscire anche con i capelli bagnati. Ma se una persona ha l’artrosi o presenta già delle contratture muscolari, situazioni di stress, uno sbalzo di temperatura, un colpo d’aria o anche il tempo che cambia possono accentuare una situazione già presente che si manifesta con la cervicalgia. Oggi, anche la tecnologia può essere causa dell’insorgere del dolore tipico del collo: posture errate a capo chino e spalle ricurve su smartphone e tablet tendono a irrigidire i muscoli delle spalle, nella zona cervicale, che si contraggono e sono tenuti “in alto” per tanto tempo. Si tratta di una postura frequente nei giovani e nei ragazzi: la cefalea che si manifesta è dovuta proprio alla contrattura muscolare di collo e spalle.

(Salute, Humanitas)

TORCICOLLO ADDIO,
ECCO COME COMBATTERLO

Si manifesta con un dolore acuto all’altezza del collo.

È un disturbo di natura muscolo-scheletrica e in sua presenza è difficile compiere movimenti di flessione, estensione e rotazione del capo. Il torcicollo è un disturbo abbastanza comune, dall’esordio improvviso e la cui risoluzione avviene in genere spontaneamente nel giro di qualche giorno. Ne parliamo con la dottoressa Lara Castagnetti, osteopata e specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa di Humanitas.

A COSA È DOVUTO IL TORCICOLLO?
A che cosa è dovuto il torcicollo? Quando è il caso di rivolgersi al medico? Fra le cause più comuni di questo disturbo ci sono le contratture muscolari e le problematiche a carico della colonna vertebrale. La contrattura muscolare può essere dovuta, per esempio, a uno sbalzo di temperatura, dall’assunzione di posizioni scorrette prolungate, ma anche da movimenti bruschi della testa e traumi: si pensi per esempio a un colpo di frusta in caso di incidente. In questi casi, il torcicollo dura qualche giorno e poi passa. Laddove il disturbo persista, potrebbe celare problemi alla colonna cervicale, come per esempio una condizione di sofferenza dei dischi intervertebrali magari legata a un’ernia del disco o più raramente a spondiloartriti, patologie reumatiche autoimmuni responsabili di un’infiammazione cronica alla colonna vertebrale.

DOCCIA TIEPIDA E MOVIMENTO AIUTANO A LENIRE IL DOLORE
Quando il dolore è molto forte una doccia tiepida è ciò che può aiutare di più: l’acqua infatti effettua una sorta di massaggio sui muscoli del collo e li rilassa. Oltre a ciò, se il medico approva, è possibile assumere alcuni farmaci antinfiammatori e si può ricorrere eventualmente al kinesio taping con l’applicazione di appositi cerotti che garantiscono un effetto antinfiammatorio e antidolorifico. Chi soffre di torcicollo spesso è convinto erroneamente che muovere il capo il meno possibile sia la cosa migliore da fare: questo in realtà è controproducente. Meglio invece provare a compiere piccoli movimenti controllati. Stare fermi infatti riduce il dolore nell’immediato, ma aumenta di fatto la rigidità muscolare e dunque il dolore. Possono essere quindi di aiuto esercizi di stretching che allunghino il collo.

COSA FARE SE IL DOLORE DURA DA PIÙ DI UNA SETTIMANA
Se il torcicollo si associa a difficoltà a respirare, a parlare, a camminare o a deglutire o in presenza di debolezza o intorpidimento agli arti, è bene recarsi in pronto soccorso per verificare non vi siano lesioni a carico delle strutture del sistema nervoso centrale. Se il dolore dura per più di una settimana è consigliabile rivolgersi al medico per gli opportuni accertamenti. Da non sottovalutare anche la presenza di sintomi quali mal di testa, mal di schiena e dolore alle spalle. Il medico potrebbe prescrivere esami quali radiografia e risonanza magnetica per verificare l’origine del disturbo.
(Salute, Humanitas)

CICLO MESTRUALE,
UNO STUDIO SUGGERISCE PERCHÉ PUÒ
ESSERE COSÌ DOLOROSO

Il ciclo mestruale a volte può essere davvero doloroso. 8 donne su 10 devono fare i conti con i dolori mestruali e, di queste, la metà ricorre a un trattamento farmacologico.

È la sindrome premestruale, caratterizzata da diversi sintomi non solo fisici. Le sue cause non sono ancora del tutto note e dei ricercatori della University of California, David (Stati Uniti) suggerisce una possibile spiegazione alla base di questi dolori.

Secondo il team dietro questi dolori ci sarebbe un’infiammazione.
Gli scienziati hanno riscontrato un’associazione positiva e significativa tra un marcatore dell’infiammazione nel sangue (proteina C reattiva ad alta sensibilità) e la severità dei sintomi tipici della sindrome. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Women’s Health. La sindrome premestruale si presenta poco prima dell’arrivo delle mestruazioni, accompagnando il ciclo mestruale e regredendo in pochi giorni.

I suoi sintomi caratteristici sono:
– cambiamenti di umore con irritabilità, tendenza alla depressione, crisi di pianto, mal di testa, tensione mammaria, attacchi di fame, gonfiore e addirittura aumento di peso.

Dietro mal di testa e crampi un infiammazione?
Lo studio, al quale hanno partecipato 2939 donne tra 42 e 52 anni di età, ha individuato un legame tra alti livelli di questo marcatore dell’infiammazione e alcuni sintomi della sindrome: flessioni e sbalzi d’umore, crampi addominali/dolore alla schiena, maggior appetito/aumento di peso/gonfiore e dolore al seno ma non mal di testa. L’associazione variava però a seconda dei sintomi. Maggiore il livello di questa proteina, maggiore il rischio d’infiammazione e dunque di provare sintomi dolorosi. Questa correlazione, concludono i ricercatori, potrebbe avere importanti implicazioni cliniche per il trattamento e la possibilità di prevenire questi dolori. «Prima di impostare qualsiasi terapia è importante escludere possibili cause di dolore pelvico cronico come, ad esempio, l’endometriosi, la malattia infiammatoria pelvica, le cisti ovariche o i fibromi uterini, ma anche malattie non ginecologiche come cistiti, colite, diverticolite ed ernia del disco». «Per il trattamento del dolore – aggiunge – si può ricorrere ai farmaci antiinfiammatori non steroidei».

Per la sindrome premestruale, invece, a cosa possono ricorrere le donne?
«I trattamenti sono di tipo sintomatico, mirati ad alleviare i dolori e quindi a migliorare la qualità di vita. Oltre agli antidolorifici tradizionali, le pazienti possono assumere integratori alimentari a base di palmitoiletanolamide, acido alfalipoico e mirra, sostanze naturali che agiscono come modulatori biologici favorendo la risposta dei tessuti. Ma anche integratori a base di magnesio, calcio, potassio e sodio che migliorano la risposta antinfiammatoria, antiprostaglandinici sia farmacologici che naturali per ridurre le contrazioni uterine e quindi il dolore; infine alle terapie ormonali con associazioni estroprogestiniche (la “pillola”)».

(Salute, Humanitas)

Sai capire se una ferita è infetta oppure no?

Un taglio infetto può portare a gravi conseguenze, se non trattato opportunamente, quindi è prioritario riconoscerlo.

Anche una piccola ferita, che non necessita neppure di punti di sutura, può causare grossi problemi, come accade per le infezioni cutanee provocate da stafilococchi o streptococchi.
Precisato che in caso di infezione bisogna subito ricorrere al medico, come riconoscere, prioritariamente, se un taglio è stato infettato?
Ne abbiamo parlato con il dottor Stefano Ottolini, specializzato in medicina d’urgenza in Humanitas.

I sintomi dell’infezione: come riconoscerla?
Per sapere se un taglio è infetto, bisogna verificare la presenza di alcuni segni: il gonfiore, l’arrossamento, il calore localizzato (il taglio, infatti, è caldo rispetto alle zone circostanti) e la presenza di pus. Lo scenario peggiore che si possa presentare è la trasformazione di un taglio infetto in un’infezione (sistemica) del corpo intero. La prova dello sviluppo dell’infezione si ha misurando la febbre; è normale che il taglio sia caldo, ma se tutto il corpo registra un aumento della temperatura è perché l’infezione si sta diffondendo. E così è pure per il dolore ed il gonfiore: non è normale si manifestino con particolare estensione od intensità. Anche nausea e diarrea possono essere indicatori della diffusione dell’infezione dalla lesione localizzata ad altri sistemi del corpo, sistema gastrointestinale in primis. Quello che si può fare autonomamente in presenza di un taglio è mantenerlo pulito, disinfettato e coprirlo con una garza sterile e da una benda adesiva da sostituire ogni giorno.

Quando ricorrere agli antibiotici?
Se un taglio o un graffio si infetta non c’è alternativa: è necessario rivolgersi a un operatore sanitario, perché, nella maggior parte dei casi, soltanto loro possono prescrivere gli antibiotici per combattere l’infezione ed eliminarla. Diversi sono gli antibiotici disponibili, e diversi antibiotici agiscono su diversi batteri. Per capire il farmaco appropriato, il medico potrebbe aver bisogno in alcuni casi di eseguire un tampone sulla ferita e inviare il tampone per gli esami colturali batteriologici. Se entro qualche giorno i batteri saranno cresciuti a sufficienza per essere visionati al microscopio il loro tipo sarà identificato. Se invece non sarà cresciuto nulla il taglio non era infetto e gli antibiotici non saranno necessari. Tutti gli antibiotici prescritti dovranno essere assunti con l’avvertenza di continuare sino al termine concordato. Gli antibiotici, infatti, prima del termine con ogni probabilità non avranno ancora eliminato tutti i batteri e quelli sopravvissuti, i più forti, potranno così svilupparsi. Un’eventualità da scongiurare.
(Salute, Humanitas)

MAL di TESTA: EMICRANIA o CEFALEA SEMPLICE?

Inserita dall’Oms fra le prime 10 cause al mondo di disabilità, il mal di testa, solo in Italia, colpisce oltre 26 milioni di persone. Ecco cosa fare quando il mal di testa diventa un compagno ingombrante.

Il dottor Vincenzo Tullo, neurologo di Humanitas, fa chiarezza sulla diagnostica, sull’epidemiologia e sulle reali possibilità di cura che spesso i pazienti non conoscono, rassegnandosi a vivere in una condizione che penalizza fortemente la loro qualità di vita.

Cefalea primaria e secondaria, quali differenze?
Il mal di testa, o cefalea, è una condizione molto frequente e può dipendere da cause diverse. Se è il sintomo di altre malattie sottostanti, come ad esempio l’ipertensione arteriosa, la sinusite, diverse patologie endocraniche come le neoplasie, è detta cefalea secondaria. Quando invece è un disturbo a sé stante e non ha altre cause evidenziabili con la TAC o la RMN, ma si manifesta esclusivamente con il sintomo del dolore, viene chiamata cefalea primaria.

Come diagnosticare il tipo di mal di testa?
Le cefalee primarie sono molto più frequenti nella popolazione generale rispetto alle cefalee secondarie e sono prevalentemente e in ordine di frequenza la cefalea tensiva, l’emicrania e la cefalea a grappolo. La cefalea di tipo tensivo è la forma più comune di cefalea (circa 1 persona su 3 ne soffre almeno una volta al mese), quindi è più frequente dell’emicrania ma è meno invalidante. Il dolore è diffuso a tutto il capo, si irradia spesso in regione occipito nucale ed è di tipo gravativo-costrittivo (non pulsante). I fattori scatenantisono la tensione nervosa, lo stress protratto, le posture scorrette, la carenza di sonno e le variazioni climatiche. L’intensità è lieve o media e l’attacco può durare da 30 minuti a 7 giorni. L’emicrania è la cefalea primaria più nota e più invalidante: ne soffre più di una persona su 10, in 1/3 dei casi fin dall’infanzia. Il dolore di intensità severa si associa ad altri disturbi quali la nausea, il vomito, l’intolleranza a luce, suoni e odori. Le crisi, spesso unilaterali, hanno una durata se non trattate tra le 4 e le 72 ore e peggiorano con l’attività fisica di routine come salire le scale o tossire. “Da un punto di vista patogenetico oggi l’emicrania è considerata una patologia poligenica e multifattoriale alla cui patogenesi concorrono fattori sia ambientali che genetici – ha specificato Tullo -. Tante le cause che possono scatenare l’emicrania, come lo stress, il ciclo mestruale o i cambiamenti di stagione, ma un ruolo di primo piano spetta all’alimentazione.

Esistono diversi cibi che possono provocare gli attacchi, in chi è predisposto ma anche in chi non lo è;

tra questi ci sono formaggi stagionati, carni rosse e insaccati, dadi da brodo, crostacei e tutto ciò che contiene tiramina, istamina, nitriti, glutammato, fritti e cibi grassi in generale”.

Il fumo e i superalcolici influiscono sul mal di testa? E l’alimentazione?
Banditi fumo e superalcolici. Per prevenire l’emicrania fa eccezione il vino rosso, che contiene sostanze antiossidanti come il resveratrolo, che possono invece essere di aiuto. L’importante è la misura. Una sana alimentazione va sempre associata ad un corretto stile di vita. Lo sport può essere un valido alleato perché aiuta a scaricare le tensioni; meglio però svolgere attività fisica all’aperto, anche un a semplice passeggiata, ed evitare luce artificiale o rumori forti, tipici delle palestre. Se però l’emicrania compare solitamente al risveglio, la causa probabilmente è la cattiva qualità del sonno. È importante riposare bene: per farlo bisogna dormire in un ambiente buio e silenzioso, senza apparecchi elettronici, ed aspettare almeno 3 ore dopo cena prima di coricarsi.

Un consiglio per chi risolve gli attacchi di mal di testa a suon di analgesici:
un loro abuso può ottenere l’effetto opposto, ovvero cronicizzare il disturbo. La corretta alimentazione, un buon sonno ristoratore, la regolare attività fisica e un approccio sereno alla vita sono i pilastri fondamentali per combattere e prevenire il mal di testa.

I maschi fra i più colpiti dalla cefalea a grappolo
In ultimo la cefalea a grappolo: si tratta di una cefalea poco frequente che si caratterizza per il raggrupparsi delle crisi in determinati periodi dell’anno ed è più frequente nei maschi (M:F = 3:1). Il dolore è molto intenso, pulsante-urente, della durata di 15-180 minuti, ricorrente a crisi ravvicinate (grappolo di attacchi) da 1 ogni 2 giorni a 8 al giorno, in sede orbitaria unilaterale. Si associa a congestione oculare, ostruzione nasale o rinorrea, abbassamento della palpebra, guancia e fronte rosse e sudate. Nel caso di insorgenza di una cefalea è importante fare una visita specialistica presso un Centro Cefalee sia per una definizione diagnostica accurata che per una presa in carico del paziente con una raccolta completa di dati anamnestici e clinici e l’impostazione di trattamenti specifici per i singoli attacchi e per la prevenzione degli stessi. L’obiettivo è quello di raggiungere un significativo miglioramento clinico ed un adeguato grado di autogestione da parte del paziente delle crisi residue. Il mal di testa può compromettere ogni aspetto della vita quotidiana, dal rendimento lavorativo alle relazioni sociali e familiari e questo problema è avvertito da molti individui come ancora più insopportabile del dolore in sé.
(Salute, Humanitas)

TORCICOLLO: come si previene e come si cura

Il torcicollo è un tipo di disturbo molto diffuso, che si presenta solitamente all’improvviso e che dura al massimo qualche giorno. Abbiamo chiesto alla dottoressa Lara Castagnetti, specialista in Riabilitazione Ortopedica e Osteopatia dell’Istituto Humanitas, quali sono le cause che fanno insorgere il torcicollo e quando sarebbe il caso di chiedere l’aiuto di uno specialista.

Cos’è il torcicollo e da cosa è provocato Con torcicollo si intende un dolore intenso situato nell’area del collo. È un problema che ha un’origine di tipo muscolare e scheletrico, e che rende difficile a chi ne soffre eseguire movimenti della testa che prevedono flessione, estensione e rotazione. Tra le cause principali di questo disturbo troviamo le contratture muscolari e le patologie della colonna vertebrale. Le contratture possono essere a loro volta provocate dagli sbalzi di temperatura, dall’assunzione di posizioni scorrette per lunghi periodi di tempo, così come da movimenti bruschi e traumi, come il colpo di frusta che può svilupparsi dopo un incidente. Se il dolore non scompare nel giro di pochi giorni, potrebbe essere causato da problemi alla colonna cervicale: si potrebbe trattare per esempio di una difficoltà legata ai dischi invertebrali, come un’ernia del disco e più raramente spondiloartriti e malattie reumatiche autoimmuni che provocano infiammazioni alla colonna vertebrale.

Come alleviare il dolore del torcicollo
Nel momento di dolore più intenso può dare sollievo una doccia tiepida, poiché il getto d’acqua esercita una sorta di massaggio sui muscoli del collo, rilassandoli. Un aiuto può essere fornito anche dall’assunzione di farmaci antinfiammatori. Al contrario di quanto si potrebbe pensare inoltre, tenere il capo immobile, sebbene aiuti a smettere di provare dolore, aumenta nel lungo periodo la rigidità muscolare, contribuendo a peggiorare la situazione complessiva. È per questo che piccoli movimenti controllati, così come esercizi di stretching, possono contribuire a risolvere il disturbo in minor tempo. Infine, dopo aver consultato il medico, si può decidere di ricorrere al kinesio taping, ovvero una cura che si somministra con l’applicazione di particolari cerotti con funzioni antinfiammatorie e antidolorifiche.

Quando è il caso di contattare uno specialista?
Nell’eventualità in cui il dolore si prolunghi per molti giorni, e nello specifico per più di una settimana, sarebbe bene rivolgersi a uno specialista per una valutazione professionale della situazione. Stessa cosa andrebbe fatta se gli episodi sono molto frequenti – ad esempio una volta al mese – o se si è costretti a prendere farmaci. Anche nel caso in cui il torcicollo fosse accompagnato da sintomi come mal di testa, mal di schiena e dolore alle spalle, è consigliato rivolgersi a un medico, che potrebbe prescrivere degli esami come radiografia e risonanza magnetica per avere un quadro diagnostico più definito. Rappresentano invece sintomi di allarme legati al torcicollo la difficoltà a respirare, a parlare, a camminare o a deglutire e ancora la debolezza e l’intorpidimento degli arti. Nel caso in cui il torcicollo si accompagnasse a questi sintomi è consigliabile invece recarsi direttamente in pronto soccorso, per assicurarsi che non siano presenti delle lesioni del sistema nervoso centrale.
(Salute,Humanitas)

QUALI SONO I SINTOMI DELLA GASTRITE?

Quando abbiamo mal di stomaco, o soffriamo di bruciore e reflusso, talvolta tendiamo a dare la colpa alla “gastrite”, spesso in maniera erronea. Non tutti sanno però cosa sia, di preciso, la gastrite, come si manifesti o come si possa contrastare.

Cos’è la gastrite? La gastrite è l’infiammazione della parete interna dello stomaco. Spesso è causata da un batterio, l’Helicobacter Pylori, ma anche da altri fattori, come ad esempio alcuni farmaci (tra i quali l’aspirina o alcuni antidolorifici) o l’abuso di alcol. Lo stress può essere uno dei fattori di rischio più comuni nella comparsa di questa patologia. Chi ha patologie della tiroide, può sviluppare una gastrite associata a questo. La gastrite può essere acuta, comparendo improvvisamente, o cronica, sviluppandosi lentamente e perdurando nel tempo. È molto importante non sottovalutare i sintomi: se trascurata, può portare alla formazione di ulcere, sanguinamenti e lacerazioni dello stomaco.

I sintomi della gastrite
La cosa interessante della gastrite è che, contrariamente a quanto si creda, non ha sintomi peculiari. Nelle forme acute possiamo riscontrare bruciore o dolore localizzati alla parte alta dell’addome, che peggiorano solitamente entro un’ora dal pasto. Se il bruciore aumenta prima dei pasti, per calmarsi con il pasto stesso, è più probabile che ci troviamo di fronte al Reflusso Gastroesofageo, piuttosto che alla Gastrite. In ogni caso, è bene parlarne con un medico, se i disturbi durano più di un paio di settimane.

Come trattare e diagnosticare la gastrite?
La gastrite si può diagnosticare, nei soggetti giovani, sulla base dei sintomi e con la ricerca del batterio dell’Helicobacter Pylori. Si può ricercare con un test fecale, nel sangue oppure con il test del respiro. Per i soggetti che hanno superato i 45 anni e che presentano sintomi, oppure in coloro che hanno un familiare giovane che ha avuto cancro dello stomaco, o ancora giovani in cui la terapia specifica non ha funzionato, è indicata l’EGDS, ossia l’Esofago – Gastro – Duodenoscopia. Una volta che la gastrite è confermata, si può ridurre l’acidità gastrica con alcuni farmaci specifici (inibitori della pompa protonica), oppure con Antiacidi che “Tamponano” temporaneamente l’acidità. Questi ultimi, associati a farmaci che aumentano lo svuotamento dello stomaco, sono utili anche nel caso di gastriti dovute alla risalita della bile nello stomaco. Se il medico li prescrive, si possono assumere degli antibiotici, come l’Amoxicillina o la Claritromicina, che si utilizzano per eliminare l’infezione da Helicobacter Pylori.

Gastrite: cosa mangiare o non mangiare?
Non è necessario seguire una dieta specifica in caso di gastrite. A livello di buon senso, però, possiamo consigliare di evitare quei cibi che causano eccessiva acidità di stomaco, come i fritti, il caffè, il tè, gli alcolici, bevande gassate o molto calde, che possono danneggiare o peggiorare l’infiammazione della parete interna gastrica. Oltre all’alimentazione, si consiglia di evitare il fumo e di incrementare l’attività fisica, grande alleata contro lo stress. Anche mantenere un costante e regolare ciclo sonno-veglia aiuta a migliorare significativamente i disturbi.
(Salute, Humanitas)

Herpes Zoster: la causa è il Virus della Varicella che si riattiva

Nota come fuoco di Sant’Antonio, è una malattia infettiva che colpisce i nervi e la pelle ed è favorita da stress o altre condizioni che riducano le difese del sistema immunitario.

In gergo medico si chiama Herpes zoster, ma in Italia la maggior parte delle persone lo conosce come «fuoco di Sant’Antonio», malattia infettiva, talvolta molto insidiosa, che ha come bersaglio i nervi e la pelle ed è causata dalla riattivazione del virus della varicella. Come si sviluppa? «Dopo la guarigione dalla varicella, malattia infettiva che la maggior parte delle persone supera durante l’infanzia, il virus varicella-zoster non viene eliminato del tutto, ma rimane confinato, inattivo, nei gangli nervosi dei nervi sensitivi». «Può succedere che a distanza di tempo, il virus si risvegli a causa di un indebolimento del sistema immunitario, come può capitare con l’avanzare dell’età, o per l’impiego di alcuni farmaci immunosoppressori o in seguito a uno stress ambientale (troppo caldo, freddo, troppo sole) o emozionale. Il virus riattivato si moltiplica e risale lungo il fascio nervoso periferico fino a raggiungere la cute innervata da questo nervo». Da che cosa si riconosce questa condizione? «Nel momento in cui si riattiva il virus, il paziente avverte un fastidio nella sede corrispondente a quella innervata dal ganglio nervoso interessato. La forma statisticamente più comune è quella toracica, ma possono essere interessati anche i nervi sensitivi del volto oppure quelli sacrali. Il fastidio iniziale, avvertito come pizzicore, bruciore, formicolio o persino dolore, può essere più o meno intenso a seconda dell’età, in genere è maggiore negli anziani. Compare poi un tipico arrossamento con vescicole a contenuto liquido che si rompono con facilità. Si formano così delle croste che si staccano nell’arco di una o due settimane. Di solito i disturbi sono localizzati solo a un lato del corpo, nell’area innervata da un nervo sensitivo».
(Corriere)

I COLPI D’ARIA FANNO MALE ALLA SALUTE?

In Italia, più che in altri Paesi, c’è una tendenza al considerare le correnti e i colpi d’aria come origine di una serie di disturbi: colpo della strega, torcicollo, raffreddori, otiti.


Stiamo infatti particolarmente attenti a controllare spifferi e a non metterci davanti alle correnti d’aria, anche per evitare eventuali contratture muscolari.
Ma sarà vero? I colpi d’aria sono nocivi per la salute? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elena Azzolini della Direzione Medico Sanitaria di Humanitas.

Le correnti d’aria non sono così pericolose
Difficile sapere da cosa derivi questa paura delle correnti d’aria. Malattie come i raffreddori, le otiti, e le infezioni in generale possono avere una natura batterica o virale: il che significa, sostanzialmente, che è necessaria una componente infettiva per farci ammalare. Il freddo e i colpi d’aria, da soli, non bastano.
Inoltre, per quanto riguarda i dolori muscolari e articolari associati a colpi d’aria, a oggi non esiste una letteratura scientifica che sostenga questa tesi, ma pare più probabile che i dolori derivino da uno sforzo eccessivo, un movimento brusco o un mancato riscaldamento prima dell’allenamento, o di un defaticamento dopo aver fatto esercizio.
Può sembrare quasi paradossale, ma il motivo principale per cui ci si ammala d’inverno non riguarda di per sé il freddo, quanto il fatto che, proprio a causa delle basse temperature, ci si rifugia in luoghi chiusi, spesso affollati.
Il raffreddamento, certo, può determinare alcuni fenomeni che possono alterare la capacità di risposta del nostro organismo – come ad esempio la vasocostrizione, o una rallentata attività delle ciglia che rivestono le vie aeree e che contribuiscono a eliminare gli agenti esterni -, ma di base sono gli ambienti chiusi e umidi che favoriscono la proliferazione di quei germi e batteri che ci fanno ammalare.
Inoltre, la paura del colpo d’aria potrebbe creare dei veri e propri problemi alla nostra salute. Per esempio, nel caso delle infezioni alle vie aeree, il rischio del contagio nei luoghi affollati diminuisce drasticamente proprio aprendo la finestra, e favorendo il ricambio d’aria fresca.
Durante l’estate, poi, le correnti d’aria permettono di alleviare la calura mediante il semplice passaggio dell’aria da fuori all’interno dell’abitazione, evitando così di utilizzare aria condizionata o ventilatori che, per quanto non risultino essere un pericolo per la nostra salute, se adoperati opportunamente, consumano molta energia e hanno un elevato costo anche in termini di inquinamento ambientale.
(Salute, Humanitas)