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Il CAFFÈ BEVUTO A STOMACO VUOTO,
appena SVEGLI, può Far MALE alla SALUTE?

Non crea danni alla mucosa gastrica, ma berne una tazzina di corsa alla mattina è una cattiva abitudine, non tanto per colpa della bevanda quanto per la mancanza di cibo.

La mattina bevo caffè senza mangiare nulla. È un’abitudine sbagliata?

Se il caffè, appena svegli, non è accompagnato da qualche alimento è una pessima abitudine, non per colpa del caffè, ma piuttosto per colpa della mancanza di cibo. La colazione, infatti, è un pasto essenziale e saltarla comporta una serie di condizioni poco favorevoli, tra le quali l’aumento di peso corporeo. Quindi l’abitudine di sorseggiare un caffè e uscire di corsa da casa, peraltro abbastanza comune, è pessima anche considerando che si tratta di una bevanda irrilevante dal punto di vista delle calorie. Una colazione può cominciare a chiamarsi tale quando apporta almeno il 20 % delle calorie dell’intera giornata (per capirci, almeno 400 kcal, meglio ancora 500, per un fabbisogno ipotetico di duemila kcal).

È molto diffusa la convinzione che il caffè a stomaco vuoto faccia male perché acido e che si possa attutirne l’impatto con un po’ di latte o panna, ma in realtà non è così. Il caffè in effetti non può non definirsi acido, ma è nettamente meno acido dell’ambiente gastrico e meno acido per esempio del pomodoro. Quindi il problema non è l’acidità del caffè in sé: piuttosto bisogna considerare il fatto che il caffè stimola la secrezione di succo acido tramite la produzione di gastrina. Da qui deriva la convinzione che il caffè possa nuocere alla mucosa gastrica quando consumato senza accompagnamento di cibo. Se decaffeinato, lo stimolo risulta inferiore e questo indica che sia la caffeina sia altri componenti, soprattutto i polifenoli, sono coinvolti. Tuttavia lo stomaco, proprio perché ha un pH molto basso (il pH è l’unità con la quale si misura l’acidità: minore è il numero, maggiore è l’acidità) è ben protetto, proprio perché svolge la sua funzione sfruttando l’acidità che egli stesso produce. Per tutelarsi, oltre a secernere acido, lo stomaco produce anche uno strato di muco, che riveste la parete isolandola e difendendola dall’ambiente acido. Si tratta di quel film di muco che può essere «bucato» in determinate condizioni: consumo di alcol e di alcuni farmaci, come i comuni antinfiammatori che, è noto, determinano bruciore di stomaco come effetto collaterale e proprio per questo si consiglia di assumerli durante o in concomitanza dei pasti.

Ma il caffè non induce danni sul film mucoso.

È stato poi ipotizzato che, se consumato da solo, il caffè possa provocare reflusso esofageo poiché non solo stimola la secrezione di acido, ma contemporaneamente diminuisce la continenza dello sfintere esofageo. Nella popolazione normale però gli studi scientifici hanno escluso che il caffè, a digiuno o dopo un pasto, possa dare sintomatologia riconducibile a reflusso; in caso di malattia da reflusso preesistente, il consumo senza cibo potrebbe peggiorare i disturbi in alcuni pazienti, ma in collaborazione con altri fattori legati alla dieta, come l’eccesso di peso.

Che sia assunto a digiuno o meno il caffè esercita una serie di funzioni interessanti sul tratto intestinale. La caffeina, infatti, così come altre metilxantine, è capace di ridurre la calcolosi della colecisti, stimolando l’assorbimento degli acidi biliari a livello intestinale ed epatico. Il consumo di caffè sembra inoltre avere effetti positivi anche sul microbiota dell’intestino, poiché esercita uno stimolo alla produzione di batteri buoni a discapito dei batteri cattivi e potrebbe essere attraverso questo meccanismo che il caffè riduce il rischio di alcune malattie, dal diabete all’obesità, al Parkinson.

(Corriere)

“USCIRE CON I CAPELLI BAGNATI
FA VENIRE LA CERVICALE”,
VERO O FALSO?

In molti credono che uscire con i capelli bagnati faccia venire il mal di collo o cervicale.

FALSO Non uscire con i capelli bagnati che ti viene la cervicale” è la raccomandazione di mamme e nonne che, così dicendo, vorrebbero proteggere figli e nipoti dai sintomi della cervicale. Quello che le nostre mamme e nonne non sanno è che la “cervicale” o cervicalgia non viene come il raffreddore. Infatti, se una persona è in salute e non soffre di stress o di disturbi come ernie discali, può stare al sicuro e uscire anche con i capelli bagnati. Ma se una persona ha l’artrosi o presenta già delle contratture muscolari, situazioni di stress, uno sbalzo di temperatura, un colpo d’aria o anche il tempo che cambia possono accentuare una situazione già presente che si manifesta con la cervicalgia. Oggi, anche la tecnologia può essere causa dell’insorgere del dolore tipico del collo: posture errate a capo chino e spalle ricurve su smartphone e tablet tendono a irrigidire i muscoli delle spalle, nella zona cervicale, che si contraggono e sono tenuti “in alto” per tanto tempo. Si tratta di una postura frequente nei giovani e nei ragazzi: la cefalea che si manifesta è dovuta proprio alla contrattura muscolare di collo e spalle.

(Salute, Humanitas)

DORMIRE POCO FA MALE.
MA DORMIRE TROPPO?

Le prove scientifiche che dormire troppo faccia male non esistono. Però avvertire sempre il bisogno di poltrire a letto può essere la spia di qualcosa che non va. Dormire poco, si sa, fa male. Ma… dormire troppo?

Un recente articolo pubblicato su Science Alert prova a fare chiarezza sul tema dopo aver intervistato 26 medici esperti di sonno e della relazione tra sonno e salute.

7 ORE.
In generale, spiega Jo Caldwell, neuropsicologo della Marina Militare americana, il numero di ore di sonno e la salute sono profondamente legate tra loro. In media un adulto sano dovrebbe dormire circa 7 ore per notte: ogni ora in meno ha conseguenze dirette sulla salute, così come le ore in eccesso. Gli effetti negativi di un eccesso di sonno sarebbero simili a quelli derivanti da uno stile di vita sbagliato: sovrappeso, disturbi cardiaci, diabete, obesità.
È bene sottolineare come Caldwell sia arrivato a queste conclusioni valutando lo stato di salute di persone che avevano schemi di riposo differenti: uno studio dove sono stati osservati pazienti sottoposti a dosi di sonno crescenti non è mai stato condotto. Anzi, sottolinea Monika Haack, esperta in ricerche sul sonno ad Harvard, dormire a lungo ha effetti positivi su diversi sistemi biologici, sulla pressione del sangue, sulla sensibilità al dolore e sui meccanismi dell’umore.

QUANDO È TROPPO?
Jamie Zeitzer, ricercatore sulla biologia del sonno a Stanford spiega che interpretare la correlazione tra eccesso di sonno e cattivo stato di salute è molto difficile perché non si capisce come dormire possa favorire l’insorgenza di certe patologie. Potrebbe per esempio essere vero il contrario, e cioè che siano problemi cardiaci ed eccesso di peso a indurre le persone a dormire di più. Per il nostro fisico il riposo è una medicina e, quando c’è qualcosa che non va, è una strategia vincente. Altri esperti sono convinti che un “sovradosaggio di sonno” non esista: a meno di non ricorrere a farmaci e sonniferi, ad un certo punto ci si sveglia e si resta a letto perfettamente svegli, anche se magari con poca voglia di alzarsi.

A CIASCUNO IL SUO SONNO.
Ma come si fa a sapere quanto è giusto dormire? Ogni individuo ha necessità di riposo diverse, che dipendono anche da che cosa si fa durante la giornata. Una durata media di 7-8 ore è ragionevole: se si ha sempre la necessità di dormire molto più di così, o se il bisogno di dormire aumenta sensibilmente nel corso del tempo, potrebbe essere indice di qualcosa che non va. E allora è meglio consultare un medico.

(Salute, Focus)

UNA DIETA IPERPROTEICA È DANNOSA PER I RENI?

Fare una «scorpacciata» di proteine per un periodo lungo può avere conseguenze sulla salute dei reni. E i benefici per la linea non sono scontati

Se si decide di seguire un regime dietetico iperproteico, è fondamentale parlarne al proprio medico perché, come dimostrano diversi studi, ci potrebbero essere conseguenze negative sulla salute. Se non dura troppo a lungo, la scorpacciata di proteine non crea grandi problemi a chi gode di una buona salute renale, ma può invece risultare pericolosa per chi soffre di disturbi ai reni e può aumentare il rischio di calcoli renali in chi è predisposto. Inoltre, l’esclusione di interi gruppi di alimenti – in alcune fasi della dieta Dukan, per esempio, verdura e frutta sono bandite – può tradursi in carenze di nutrienti e in un conseguente senso di stanchezza o in problemi intestinali (se mancano le fibre). Infine, anche i vantaggi sulla bilancia non risultano così stabili come molti vorrebbero. Un sondaggio condotto su quasi cinquemila persone che avevano seguito la dieta Dukan ha dimostrato infatti che nel 70% dei casi il peso è tornato quello di partenza nel giro di tre anni.

(Salute, Fondazione Veronesi)

LA PILLOLA PER LA PRESSIONE?
IN CERTI CASI È MEGLIO PRENDERLA ALLA SERA

Secondo uno studio assumere il farmaco prima di andare a dormire protegge meglio da problemi cardiovascolari. Ma la scelta va sempre fatta con il medico

IL MOMENTO MIGLIORE
Qual è l’ora giusta per prendere la pastiglia contro la pressione alta? Sul corretto orario dell’assunzione di questo farmaco non esistono per la verità linee guida precise, ma i medici in genere tendono a consigliare di farlo al mattino. Ora però uno studio appena pubblicato sull’European Heart Journal suggerisce che il momento migliore per prendere la pastiglia antipertensiva è quando si va a letto: in questo modo si controlla meglio la pressione nelle 24 ore e si riduce significativamente il rischio di morte per eventi cardiovascolari, come ictus e infarto, rispetto a chi assume il farmaco al risveglio.

LO STUDIO
Lo studio, il più ampio finora mai eseguito per dimensioni su questo argomento, ha seguito per 6 anni 19 mila pazienti ipertesi, che sono stati divisi in due gruppi in modo casuale: metà dei partecipanti ha preso la pillola al mattino, l’altra metà la sera. A tutti è stata misurata la pressione una volta l’anno per 48 ore. È emerso che chi aveva assunto la pastiglia prima di andare a letto non solo, come detto, aveva quasi dimezzato il rischio di morte per eventi cardiovascolari, ma aveva mantenuto la pressione più bassa nelle 24 ore, in particolare di notte. Cambiare l’orario di assunzione del farmaco potrebbe salvare molte vite».

LA PRESSIONE BASSA DI NOTTE È PROTETTIVA
Lo studio è coerente con precedenti evidenze scientifiche che mostrano come i valori medi della pressione minima misurata durante il sonno siano i più indicativi del rischio cardiovascolare di un individuo iperteso. La pressione bassa di notte è un elemento protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari.

CHE COSA DICE IL CARDIOLOGO
«Le conclusioni non vanno comunque generalizzate — ma il merito di questo studio è quello di sottolineare l’importanza di un trattamento individualizzato dell’ipertensione arteriosa. Alcuni pazienti infatti presentano un aumento patologico dei valori pressori nelle ore notturne, riconosciuto fattore di rischio per eventi cerebrovascolari. È quindi importante sottoporre gli ipertesi a un monitoraggio pressorio nelle 24 ore (Holter pressorio) in modo da avere chiaro l’andamento della pressione non solo nelle ore diurne ma anche in quelle notturne, identificando così coloro che più possono beneficiare di una somministrazione serale della terapia».

CHIEDERE SEMPRE AL MEDICO
Come hanno sottolineato gli stessi autori della ricerca serviranno altri studi per capire se il beneficio si applica con tutti i tipi di farmaci in commercio e su tutte le popolazioni. Prima di modificare in modo autonomo l’orario di assunzione della pillola contro l’ipertensione è comunque importante chiedere il parere al proprio medico curante perché potrebbero esserci motivi validi per cui il farmaco deve essere assunto alla sera oppure alla mattina.
(Salute, Corriere)