L’isolamento prolungato è stato per molti un tempo sospeso simile all’adolescenza. Con un suo fascino che lo mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione
Abbiamo tanto desiderato il ritorno a una vita normale. Ma ora che finalmente si intravedono piccoli bagliori di normalità sottotraccia balena un pensiero difficile da ammettere: «Quasi quasi non esco più».
L’isolamento si è trasformato in comfort zone.
«Ci sono situazione diverse, sarebbe difficile e imprudente generalizzare sulle ragioni che possono portare a questo timore. Certamente però, per molti questo è stato probabilmente un tempo sospeso, per alcuni versi simile all’adolescenza, in equilibrio tra l’infanzia e l’età adulta», commenta Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele. «La sospensione riguarda anche obblighi e responsabilità, per questo ha un suo fascino che la mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione». «Però è altrettanto vero— che per alcuni è stato anche un tempo di riscoperte positive, di legami familiari vissuti più pienamente, di case abitate, di oggetti ritrovati, come per esempio i vecchi album di fotografie. Sono pezzi della propria identità che nella freneticità della vita precedente alla quarantena non trovavano spazio. Ora è difficile ributtarsi nella corrente, abbandonando questi aspetti». Comprensibile, ma forse non abbastanza per ribaltare, come capita a qualcuno, scelte che sembravano imminenti, come andare a convivere o cambiare casa. «Se la quarantena ha rappresentato una frenata improvvisa è normale che gli oggetti più instabili cadano e che si mettano in discussione equilibri e programmi. Per chi ha avuto le risorse per farlo è stato quasi un periodo di “esame di coscienza”». «Non sarà un caso se anche i ritiri di silenzio e discernimento delle tradizioni spirituali si modulano su quaranta giorni, una quarantena, appunto».
(Salute, Corriere)