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Herpes zoster: la possibilità di recidive e la vaccinazione

Come prevenire le recidive dell’herpes zoster con la vaccinazione e quando effettuarla

L’herpes zoster, noto anche come fuoco di Sant’Antonio, è una malattia infettiva causata dal virus varicella-zoster, lo stesso virus che provoca la varicella. Dopo che una persona ha contratto la varicella, il virus rimane dormiente nel sistema nervoso per anni o addirittura decenni, ma può riattivarsi in seguito, causando l’herpes zoster.

La maggior parte delle persone ha solo un episodio di herpes zoster nella vita, ma in alcuni casi, il virus può riattivarsi più volte, causando recidive dell’infezione. Le recidive di herpes zoster sono più comuni in persone con un sistema immunitario indebolito, come quelle con l’HIV o che assumono farmaci immunosoppressori, ma possono verificarsi anche in persone con un sistema immunitario normale.

Durante una recidiva di herpes zoster, non è consigliabile effettuare la vaccinazione anti-herpes zoster, poiché il vaccino potrebbe non essere efficace durante l’episodio acuto dell’infezione e potrebbe anche potenzialmente causare un’attivazione del virus. Si consiglia di aspettare almeno un mese dopo la risoluzione dei sintomi acuti di herpes zoster prima di effettuare il vaccino.

Il vaccino anti-herpes zoster è raccomandato per le persone di età superiore ai 50 anni, in particolare per quelle con un sistema immunitario indebolito o che hanno già avuto un episodio di herpes zoster in passato. Il vaccino può aiutare a prevenire l’herpes zoster e le sue complicazioni, come il dolore post-erpetico.

In conclusione, l’herpes zoster può presentarsi più volte nella stessa persona, ma la vaccinazione anti-herpes zoster può aiutare a prevenire la malattia e le sue complicazioni. Tuttavia, durante una recidiva di herpes zoster, è consigliabile aspettare fino alla risoluzione dei sintomi acuti prima di effettuare il vaccino. Si consiglia di consultare il proprio medico per una valutazione individuale e per determinare il momento migliore per effettuare il vaccino anti-herpes zoster.

DORMIRE POCO FA MALE.
MA DORMIRE TROPPO?

Le prove scientifiche che dormire troppo faccia male non esistono. Però avvertire sempre il bisogno di poltrire a letto può essere la spia di qualcosa che non va. Dormire poco, si sa, fa male. Ma… dormire troppo?

Un recente articolo pubblicato su Science Alert prova a fare chiarezza sul tema dopo aver intervistato 26 medici esperti di sonno e della relazione tra sonno e salute.

7 ORE.
In generale, spiega Jo Caldwell, neuropsicologo della Marina Militare americana, il numero di ore di sonno e la salute sono profondamente legate tra loro. In media un adulto sano dovrebbe dormire circa 7 ore per notte: ogni ora in meno ha conseguenze dirette sulla salute, così come le ore in eccesso. Gli effetti negativi di un eccesso di sonno sarebbero simili a quelli derivanti da uno stile di vita sbagliato: sovrappeso, disturbi cardiaci, diabete, obesità.
È bene sottolineare come Caldwell sia arrivato a queste conclusioni valutando lo stato di salute di persone che avevano schemi di riposo differenti: uno studio dove sono stati osservati pazienti sottoposti a dosi di sonno crescenti non è mai stato condotto. Anzi, sottolinea Monika Haack, esperta in ricerche sul sonno ad Harvard, dormire a lungo ha effetti positivi su diversi sistemi biologici, sulla pressione del sangue, sulla sensibilità al dolore e sui meccanismi dell’umore.

QUANDO È TROPPO?
Jamie Zeitzer, ricercatore sulla biologia del sonno a Stanford spiega che interpretare la correlazione tra eccesso di sonno e cattivo stato di salute è molto difficile perché non si capisce come dormire possa favorire l’insorgenza di certe patologie. Potrebbe per esempio essere vero il contrario, e cioè che siano problemi cardiaci ed eccesso di peso a indurre le persone a dormire di più. Per il nostro fisico il riposo è una medicina e, quando c’è qualcosa che non va, è una strategia vincente. Altri esperti sono convinti che un “sovradosaggio di sonno” non esista: a meno di non ricorrere a farmaci e sonniferi, ad un certo punto ci si sveglia e si resta a letto perfettamente svegli, anche se magari con poca voglia di alzarsi.

A CIASCUNO IL SUO SONNO.
Ma come si fa a sapere quanto è giusto dormire? Ogni individuo ha necessità di riposo diverse, che dipendono anche da che cosa si fa durante la giornata. Una durata media di 7-8 ore è ragionevole: se si ha sempre la necessità di dormire molto più di così, o se il bisogno di dormire aumenta sensibilmente nel corso del tempo, potrebbe essere indice di qualcosa che non va. E allora è meglio consultare un medico.

(Salute, Focus)

SE IN CASA FA FREDDO (sotto i 18 gradi) gli IPERTESI SONO A RISCHIO

Uno studio giapponese mostra una relazione inversa tra temperature casalinghe e valori della pressione. Ma non solo: anche la temperatura instabile danneggia l’apparato cardiovascolare

Prezzo del gas alle stelle, bollette da capogiro, stipendi fermi al palo da anni. Così, per arrivare alla fine del mese, il prossimo inverno molte famiglie potrebbero essere costrette a tenere il riscaldamento spento oppure al minimo. Una scelta che giova al portafoglio, ma che rischia di danneggiare la salute. In particolare, pare che vivere in un’abitazione troppo fredda, con una temperatura inferiore ai 18 gradi, possa nuocere a chi ha la pressione del sangue alta (ipertensione). Ciò avviene perché, quando la colonnina di mercurio si abbassa, il calibro dei vasi sanguigni diminuisce (vasocostrizione), comportando un aumento pressorio.

Anziani e donne più sensibili alle temperature
Durante gli scorsi inverni, i partecipanti alla ricerca hanno misurato, tramite sensori di monitoraggio automatizzati forniti dagli studiosi, la temperatura in tre locali della casa (soggiorno, spogliatoio, camera da letto) e la loro pressione sanguigna, due volte al mattino e due alla sera, tenendo un diario per due settimane. Dalla rilevazione è emerso che le temperature medie erano di 16.8, 13 e 12.8 gradi rispettivamente in soggiorno, nello spogliatoio e in camera da letto, mentre quelle minime erano di 12.6, 10.4 e 11.2 gradi. In particolare, le temperature minime si sono attestate sotto i 18 gradi in oltre il 90% delle abitazioni, soprattutto in quelle delle famiglie a basso reddito e delle persone che vivono da sole. Un’associazione inversa: Questi dati sono stati, quindi, messi in relazione con i valori della pressione del sangue, mostrando un’associazione inversa: in pratica, ciò significa che più le temperature erano basse più la pressione era alta e viceversa. Nel dettaglio, gli esperti hanno notato che la pressione era più sensibile alla temperatura al mattino, registrando un incremento di 8.2 mm di mercurio (mmHg) per una diminuzione di 10 gradi, rispetto alla sera, quando a parità di riduzione di temperatura l’aumento registrato era di 6.5 mmHg. Hanno, inoltre, evidenziato che la sensibilità era maggiore nei residenti più anziani (di età pari o superiore a 57 anni) e nelle donne.

La pressione instabile
A danneggiare l’apparato cardiovascolare non è, però, solo la pressione alta, ma anche quella instabile, cioè con ampie fluttuazioni nel corso della giornata. In particolare, dallo studio è emerso che i partecipanti che vivevano in case con una lieve escursione termica tra il giorno e la notte (inferiore a 1 grado) mostravano una variabilità pressoria inferiore rispetto a quelli che vivevano in case con una maggiore differenza nella temperatura (4 gradi o più). Gli effetti positivi dell’isolamento termico In un secondo momento, gli esperti hanno valutato i medesimi parametri dopo che alcune abitazioni sono state sottoposte a isolamento termico, in cui si è provveduto a isolare pareti esterne, pavimento, tetto; a sostituire finestre a vetro singolo con quelle a vetri doppi. Grazie a questi interventi, la temperatura domestica è aumentata di 1.5 gradi, riducendo di 3.1 mmHg la pressione del sangue. Ciò dimostra che anche piccoli incrementi della temperatura possono risultare molto efficaci per tenere sotto controllo la pressione, un elemento fondamentale soprattutto per chi presenta un alto rischio cardiovascolare.

(Salute Repubblica)

Perché invecchiando si DORME di MENO?

Il calo di forma fisica e la progressiva perdita delle cellule che ci ordinano di dormire sono alcune possibili cause di insonnia con il progredire dell’età.

Ormai lo sappiamo: dormire bene e per il giusto numero di ore è indispensabile per consolidare la memoria, stabilizzare umore e metabolismo, liberarsi delle sostanze di scarto accumulate nel cervello ed avere un buon rendimento scolastico.

Addio, lunghi riposi.
Ma dopo una certa età, un’intera notte di sonno ininterrotto può equivalere a un miraggio: a mano a mano che invecchiamo dormiamo di meno, e anche la qualità del riposo diminuisce, perché spesso interrotto da una serie di microrisvegli. Se un 25enne trascorre molte ore nella cosiddetta fase profonda del sonno, quella in cui le onde corrispondenti all’attività cerebrale si fanno più ampie e meno frequenti, un 70enne passa, in questo stadio, solo pochi minuti a notte. Studi hanno dimostrato che il sonno profondo è indispensabile per il trasferimento delle memorie a breve termine accumulate nell’ippocampo alla corteccia prefrontale, dove si consolidano in memorie a lungo termine. La scarsa qualità del sonno in tarda età ha cattive conseguenze anche su questa facoltà cognitiva.

Da cosa dipende l’insonnia degli anziani? Cause cellulari.
Un fattore è rintracciabile nella perdita di neuroni nel nucleo preottico ventrolaterale dell’ipotalamo anteriore, una regione cerebrale deputata al regolamento dei ritmi sonno-veglia: queste cellule ci “dicono” quando è ora di dormire. E con l’età si riducono di numero. Più il n. di neuroni nell’area diminuisce, più disturbati saranno il sonno e la memoria. Come si ovvia a questo peggioramento della qualità del riposo notturno? Con il classico sonnellino pomeridiano, che aiuta a tamponare la situazione (ma può, ahimé, rendere più difficoltoso addormentarsi alla sera).

Perché i DOLCI non fanno bene al CUORE?

Le persone che tendono a consumare molti dolci sotto forma di cioccolato, merendine, gelati, e ogni sorta di pasticcini e snack dolci, tende ad introdurre ogni giorno una quota maggiore di calorie nella propria alimentazione a causa della quantità di zuccheri e grassi che sono gli ingredienti principali di cui sono fatti dolci

Questa è un’abitudine che apre le porte alla strada verso il sovrappeso e l’obesità, in modo particolare per chi conduce una vita sedentaria perché l’organismo non è in grado di smaltire l’eccesso calorico, o in presenza di malattie come il diabete, che genera a sua volta danno alle pareti dei vasi arteriosi, in cui l’organismo non è in grado di metabolizzare gli zuccheri. Il fatto che sovrappeso e obesità siano un pesante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari anche gravi come infarto e ictus, spiega perché i dolci non facciano bene al cuore.
Invece, è meglio consumare moderatamente cioccolato fondente che deve però contenere una percentuale di cacao superiore al 60-70% per fornire al cuore quelle sostanze antiossidanti, chiamate flavonoidi, che hanno dimostrato avere benefici sulla salute di vasi e arterie. Bisogna comunque tenere a mente che è necessario consumare cioccolato è fondente in quantità, non superiori a 10-20g al giorno, pari a circa un quadratino di una tavoletta di cioccolato fondente.
(Salute, Humanitas)

Perché abbiamo sempre in mano lo SMARTPHONE?

Guardare di continuo lo smartphone è un gesto diventato automatico, come accendersi una sigaretta per un fumatore. Ecco perché.

Uno studio condotto dalla London School of Economics and Political Science pubblicato su Science Direct ha indagato i motivi per cui molti di noi controllano in modo quasi ossessivo il proprio smartphone. Analizzando il comportamento di 37 giovani di diverse nazionalità, i ricercatori hanno potuto constatare che le interazioni con il nostro cellulare avvengono principalmente non in risposta a chiamate, messaggi o notifiche, ma senza motivo. «Prendo in mano il telefono senza nemmeno rendermene conto», ha dichiarato più di un partecipante allo studio. «È un gesto automatico, come accendersi una sigaretta per un fumatore», spiegano i ricercatori.

CHAT STRESSANTI
In generale, circa una volta su quattro sblocchiamo lo schermo dello smartphone per leggere o inviare messaggi su Whatsapp, anche se i partecipanti allo studio hanno definito “stressanti” le continue notifiche provenienti dalle chat di gruppo, riconoscendo che quasi sempre si tratta di messaggi per nulla importanti. Infatti, una volta su tre prendiamo in mano il telefono per guardare Instagram e Facebook,
solo il 6% delle volte lo facciamo per controllare le e-mail, nonostante siano le notifiche più importanti.
solo l’1% delle volte rispondiamo o effettuiamo una chiamata, a conferma che la funzione per cui il telefono è nato è ormai passata in secondo piano.

OCCHI SULLO SCHERMO
«Per molti, controllare il proprio smartphone è un bisogno maggiore che utilizzarlo per comunicare», afferma Saadi Lahlou, uno degli autori dello studio. Se è vero che la dipendenza da smartphone non può essere paragonata alla dipendenza da droghe, è altrettanto vero che l’utilizzo incontrollato del cellulare è un problema sempre più serio in particolare per le nuove generazioni, abituate a maneggiare apparecchi tecnologici fin da piccolissimi. Secondo Lahlou, è necessario imparare a evitare la tentazione, e fare «come facevano i cowboy con la pistola quando entravano nei saloon: lasciarla fuori». Nonostante infatti lo studio abbia rilevato un utilizzo maggiore dello smartphone “in solitario” e una diminuzione dell’uso in compagnia di altre persone, è innegabile che capiti spesso di vedere gruppi di amici o familiari riuniti, ognuno con gli occhi sul proprio telefono. In questi casi, la tecnologia può danneggiare le relazioni sociali, invece che favorirle.
(Salute, Focus)

Troppe ore al pc? Stacca un po’ e Muoviti!

Stare ore davanti al computer non ti fa bene, ma basta poco per compensare il troppo tempo che resti attaccata alla scrivania: ora non hai più scuse.

La pandemia e il lockdown hanno anche avuto questo effetto: siamo sempre al cellulare e/o al computer. Certo, non siamo mai stati un popolo di sportivi ma adesso il telelavoro ci ha davvero dato la botta finale.

Tutti con mal di schiena, cervicale e affini?
Un nuovo studio pubblicato sul British Journal of Sports Medicine ha calcolato quanto tempo dedicato al movimento potrebbe farci sentire meglio sia nel corpo che nella psiche: basterebbero 30-40 minuti di allenamento «moderato o vigoroso» al giorno per compensare gli effetti negativi di circa 10 ore passate alla scrivania.

ALZATI E CAMMINA
I risultati di un’analisi hanno evidenziato che il rischio mortalità dei più sedentari aumentava con il diminuire dell’attività fisica e che, al contrario, i più attivi riuscivano tramite l’esercizio fisico ad annullare gli effetti negativi delle ore passate seduti. Biciclettate, camminate veloci e anche (per i fortunati che hanno un giardino) giardinaggio: poco più di mezz’ora al giorno di attività di questo tipo migliorerebbe notevolmente la salute del nostro fisico provato da ore di telelavoro. Vi sembra troppo? Iniziate con pochi minuti perché «muoversi un po’ è sempre meglio che non muoversi affatto».

LA OMS CONFERMA
L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia agli adulti dai 18 ai 64 anni di praticare dai 150 ai 300 minuti a settimana di attività fisica aerobica moderata, o dai 75 ai 150 minuti di attività fisica aerobica intensa, limitando quindi il più possibile i momenti di sedentarietà. Ce la faremo ad alzarci dalla sedia e a staccarci dallo schermo?
(Salute, Focus)

L’ARIA CONDIZIONATA FA MALE alla SALUTE?

Quando il caldo comincia a farsi sentire, l’aria condizionata fa la sua comparsa.

Che sia nei mezzi pubblici, in ufficio o nel proprio appartamento, il suo utilizzo può dare un po’ di sollievo dalla calura estiva. Alcune persone, però, la considerano la causa di malesseri scheletrico-muscolari, come il famoso “colpo della strega”: viene da domandarsi, quindi, se effettivamente l’aria condizionata faccia male alla salute.

L’aria condizionata non è un pericolo di per sé, l’aria condizionata non rappresenta un pericolo per la nostra salute. È importante metterlo in chiaro, anche se questo non significa che stare a contatto diretto col bocchettone dell’aria condizionata sia una scelta per così dire “salutare”. Quando fa particolarmente caldo l’aria condizionata può essere un alleato contro le ondate di calore, molto pericolose per gli individui più fragili, come i bambini o gli anziani, o ancora per gli adulti con problemi cardio-respiratori. Ovviamente, l’impianto deve essere correttamente funzionante, così come le sue componenti devono essere in ottime condizioni: questo perché, in caso contrario, il condizionatore può trasformarsi in un’oasi batteriologica dovuta all’umidità. Un impianto funzionante, tra le altre cose, può ridurre la penetrazione di inquinanti esterni all’interno dell’abitazione o dell’ufficio, e i filtri presenti possono ridurre la presenza di polveri, pulviscolo atmosferico, microbi trasportati dall’aria, con buoni riscontri in caso di asma o allergia. C’è poi chi imputa il mal di schiena e il cosiddetto “colpo della strega” all’aria condizionata, o meglio, all’abbassamento delle temperature che essa produce. Anche qui, finora non ci sono stati studi a dimostrare che i malesseri muscolari siano collegati all’abbassamento delle temperature. Certo è, infine, che l’aria condizionata non faccia bene al nostro pianeta. Infatti aumenta le emissioni di inquinanti atmosferici, peggiorando la qualità dell’aria e consumando troppa energia.
(Salute, Humanitas)