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LA PILLOLA PER LA PRESSIONE?
IN CERTI CASI È MEGLIO PRENDERLA ALLA SERA

Secondo uno studio assumere il farmaco prima di andare a dormire protegge meglio da problemi cardiovascolari. Ma la scelta va sempre fatta con il medico

IL MOMENTO MIGLIORE
Qual è l’ora giusta per prendere la pastiglia contro la pressione alta? Sul corretto orario dell’assunzione di questo farmaco non esistono per la verità linee guida precise, ma i medici in genere tendono a consigliare di farlo al mattino. Ora però uno studio appena pubblicato sull’European Heart Journal suggerisce che il momento migliore per prendere la pastiglia antipertensiva è quando si va a letto: in questo modo si controlla meglio la pressione nelle 24 ore e si riduce significativamente il rischio di morte per eventi cardiovascolari, come ictus e infarto, rispetto a chi assume il farmaco al risveglio.

LO STUDIO
Lo studio, il più ampio finora mai eseguito per dimensioni su questo argomento, ha seguito per 6 anni 19 mila pazienti ipertesi, che sono stati divisi in due gruppi in modo casuale: metà dei partecipanti ha preso la pillola al mattino, l’altra metà la sera. A tutti è stata misurata la pressione una volta l’anno per 48 ore. È emerso che chi aveva assunto la pastiglia prima di andare a letto non solo, come detto, aveva quasi dimezzato il rischio di morte per eventi cardiovascolari, ma aveva mantenuto la pressione più bassa nelle 24 ore, in particolare di notte. Cambiare l’orario di assunzione del farmaco potrebbe salvare molte vite».

LA PRESSIONE BASSA DI NOTTE È PROTETTIVA
Lo studio è coerente con precedenti evidenze scientifiche che mostrano come i valori medi della pressione minima misurata durante il sonno siano i più indicativi del rischio cardiovascolare di un individuo iperteso. La pressione bassa di notte è un elemento protettivo nei confronti di eventi cardiovascolari.

CHE COSA DICE IL CARDIOLOGO
«Le conclusioni non vanno comunque generalizzate — ma il merito di questo studio è quello di sottolineare l’importanza di un trattamento individualizzato dell’ipertensione arteriosa. Alcuni pazienti infatti presentano un aumento patologico dei valori pressori nelle ore notturne, riconosciuto fattore di rischio per eventi cerebrovascolari. È quindi importante sottoporre gli ipertesi a un monitoraggio pressorio nelle 24 ore (Holter pressorio) in modo da avere chiaro l’andamento della pressione non solo nelle ore diurne ma anche in quelle notturne, identificando così coloro che più possono beneficiare di una somministrazione serale della terapia».

CHIEDERE SEMPRE AL MEDICO
Come hanno sottolineato gli stessi autori della ricerca serviranno altri studi per capire se il beneficio si applica con tutti i tipi di farmaci in commercio e su tutte le popolazioni. Prima di modificare in modo autonomo l’orario di assunzione della pillola contro l’ipertensione è comunque importante chiedere il parere al proprio medico curante perché potrebbero esserci motivi validi per cui il farmaco deve essere assunto alla sera oppure alla mattina.
(Salute, Corriere)

SE IN CASA FA FREDDO (sotto i 18 gradi) gli IPERTESI SONO A RISCHIO

Uno studio giapponese mostra una relazione inversa tra temperature casalinghe e valori della pressione. Ma non solo: anche la temperatura instabile danneggia l’apparato cardiovascolare

Prezzo del gas alle stelle, bollette da capogiro, stipendi fermi al palo da anni. Così, per arrivare alla fine del mese, il prossimo inverno molte famiglie potrebbero essere costrette a tenere il riscaldamento spento oppure al minimo. Una scelta che giova al portafoglio, ma che rischia di danneggiare la salute. In particolare, pare che vivere in un’abitazione troppo fredda, con una temperatura inferiore ai 18 gradi, possa nuocere a chi ha la pressione del sangue alta (ipertensione). Ciò avviene perché, quando la colonnina di mercurio si abbassa, il calibro dei vasi sanguigni diminuisce (vasocostrizione), comportando un aumento pressorio.

Anziani e donne più sensibili alle temperature
Durante gli scorsi inverni, i partecipanti alla ricerca hanno misurato, tramite sensori di monitoraggio automatizzati forniti dagli studiosi, la temperatura in tre locali della casa (soggiorno, spogliatoio, camera da letto) e la loro pressione sanguigna, due volte al mattino e due alla sera, tenendo un diario per due settimane. Dalla rilevazione è emerso che le temperature medie erano di 16.8, 13 e 12.8 gradi rispettivamente in soggiorno, nello spogliatoio e in camera da letto, mentre quelle minime erano di 12.6, 10.4 e 11.2 gradi. In particolare, le temperature minime si sono attestate sotto i 18 gradi in oltre il 90% delle abitazioni, soprattutto in quelle delle famiglie a basso reddito e delle persone che vivono da sole. Un’associazione inversa: Questi dati sono stati, quindi, messi in relazione con i valori della pressione del sangue, mostrando un’associazione inversa: in pratica, ciò significa che più le temperature erano basse più la pressione era alta e viceversa. Nel dettaglio, gli esperti hanno notato che la pressione era più sensibile alla temperatura al mattino, registrando un incremento di 8.2 mm di mercurio (mmHg) per una diminuzione di 10 gradi, rispetto alla sera, quando a parità di riduzione di temperatura l’aumento registrato era di 6.5 mmHg. Hanno, inoltre, evidenziato che la sensibilità era maggiore nei residenti più anziani (di età pari o superiore a 57 anni) e nelle donne.

La pressione instabile
A danneggiare l’apparato cardiovascolare non è, però, solo la pressione alta, ma anche quella instabile, cioè con ampie fluttuazioni nel corso della giornata. In particolare, dallo studio è emerso che i partecipanti che vivevano in case con una lieve escursione termica tra il giorno e la notte (inferiore a 1 grado) mostravano una variabilità pressoria inferiore rispetto a quelli che vivevano in case con una maggiore differenza nella temperatura (4 gradi o più). Gli effetti positivi dell’isolamento termico In un secondo momento, gli esperti hanno valutato i medesimi parametri dopo che alcune abitazioni sono state sottoposte a isolamento termico, in cui si è provveduto a isolare pareti esterne, pavimento, tetto; a sostituire finestre a vetro singolo con quelle a vetri doppi. Grazie a questi interventi, la temperatura domestica è aumentata di 1.5 gradi, riducendo di 3.1 mmHg la pressione del sangue. Ciò dimostra che anche piccoli incrementi della temperatura possono risultare molto efficaci per tenere sotto controllo la pressione, un elemento fondamentale soprattutto per chi presenta un alto rischio cardiovascolare.

(Salute Repubblica)

Over75: PRESSIONE, la “MASSIMA”
deve RIMANERE ENTRO i 120

Non superare questo valore riduce del 33% il rischio di eventi cardiovascolari

Con il passare degli anni, mantenere i livelli massimi della pressione sanguigna entro i 120 mmHg riduce il rischio di eventi cardiovascolari. Gli esperti hanno dimostrato che il valore di pressione sistolica pari a 140 mmHg, che negli Stati Uniti viene considerato come “nella norma”, dovrebbe essere ridimensionato, almeno per gli anziani. In Italia, invece, il valore di 120 mmHg viene ritenuto come “soglia massima da non superare”, non soltanto per le persone in età avanzata, ma per l’intera popolazione. Lo studio ha dimostrato che le condizioni sanitarie dei partecipanti che avevano mantenuto i livelli pressori entro i 120 mmHg erano migliori.
Rispetto agli altri questi soggetti correvano del 33% d’incorrere in eventi cardiovascolari (infarto, ictus).
(La Stampa)

Ipertensione Arteriosa:un alto consumo
di Patate fa Aumentare il Rischio?

L’assunzione di almeno quattro porzioni di patate a settimana si associa a un maggior rischio di ipertensione arteriosa, mentre la sostituzione di un porzione di patate con una di ortaggi senza amido ridurrebbe il rischio di avere valori di pressione più alti;

Queste sono le conclusioni di uno studio pubblicato sul British Medical Journal.
I dati presi in considerazione facevano riferimento all’apporto calorico, alla frequenza e modalità di consumo di patate e alla diagnosi di ipertensione.
(Salute, Humanitas)

COVID, I FARMACI PER L’IPERTENSIONE SONO PROTETTIVI: una NUOVA CONFERMA

Secondo uno studio della Svizzera italiana gli inibitori del sistema renina-angiotensina riducono la mortalità dei pazienti oltre i 64 anni con patologie cardiovascolari

I farmaci comunemente usati contro l’ipertensione possono ridurre la mortalità nei pazienti in età avanzata e con patologie cardiovascolari, quindi ad elevato rischio di decesso. La conferma arriva da uno pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Gli autori hanno evidenziato che le terapie antipertensive con inibitori del sistema renina-angiotensina (i cosiddetti farmaci Ace Inibitori e Sartani) riducono di oltre il 60% il rischio di morte nei malati Covidin età avanzata e/o con patologie renali e cardiovascolari.

Il Sistema Renina-Angiotensina
Una spiegazione dell’effetto positivo dei farmaci Ace Inibitori e Sartani può essere ricondotta all’interazione tra il coronavirus e il cosiddetto «sistema renina-angiotensina» (meccanismo ormonale che regola la pressione sanguigna). Sars-CoV-2 entra nelle cellule umane dopo essersi legato all’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE2) di cui blocca la funzione, causando così un eccesso di angiotensina e un aumento dell’infiammazione, che viene ridotta appunto da questi farmaci. «Lo studio ci insegna che un farmaco noto e sicuro, prescritto di routine dai medici di base per la cura dei pazienti ipertesi, risulta ridurre la mortalità tra le persone colpite da Covid». «Lo studio ha analizzato l’effetto di diverse classi di farmaci sul decorso della malattia da coronavirus in pazienti ospedalizzati, contribuendo, per quanto concerne l’effetto protettivo degli Ace inibitori e dei sartani, a fare chiarezza su un tema dibattuto a livello internazionale».

L’aumento dei livelli di ACE2
Dunque lo studio non è conclusivo, ma offre un contributo importante per la comprensione di un meccanismo complesso. «L’analisi è di tipo osservazionale e su un numero limitato di pazienti — ragiona Annalisa Capuano, professore all’Università della Campania «Vanvitelli», ma senza dubbio interessante e importante, soprattutto per l’utilizzo di modelli statistici estremamente innovativi. Fin dall’inizio della pandemia la comunità scientifica si è chiesta quale potesse essere il ruolo dei farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina nella progressione di Covid. Alcuni studi ipotizzavano che, aumentando i livelli di ACE2, i farmaci potessero offrire al virus nuove porte di accesso per diffondersi nell’organismo. Come sappiamo, infatti, Sars-CoV-2 utilizza il recettore ACE2 per creare un legame con cellule e tessuti. Altre indagini hanno invece dimostrato che il legame della proteina spike dei coronavirus al recettore ACE2 determina una diminuzione di ACE2. Ciò, a sua volta, causa una eccessiva produzione di angiotensina ad opera dell’enzima ACE, che viene in minor misura convertito in una sostanza ad attività vasodilatante da parte dell’ACE2. Questo fenomeno contribuisce al danno polmonare. Pertanto, una maggiore espressione di ACE2 potrebbe paradossalmente proteggere i pazienti trattati con Ace Inibitori e Sartani da conseguenze polmonari gravi, piuttosto che metterli a rischio. Per capire meglio, diciamo che nel sistema renina-angiotensina agiscono due componenti: ACE rappresenta la parte “cattiva” (proinfiammatoria) e ACE2 quella “buona”. Lo studio conferma la seconda ipotesi, ovvero che la maggior produzione di ACE2 indotta dai farmaci ipertensivi di tipo RAASi protegge dal rischio di morte i soggetti fragili». (Salute, Corriere)